‘ESTERNO NOTTE’, COME RIVIVERE UN MOMENTO DRAMMATICO DELL’ITALIA

Di Francesco Leggieri
“Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. A ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore.
Ricordami a tutti i parenti ed amici con immenso affetto ed a te e tutti un caldissimo abbraccio pegno di un amore eterno. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Amore mio, sentimi sempre con te e tienimi stretto.”
– Un passaggio dell’ultima lettera scritta da Aldo Moro a sua moglie Eleonora Crivelli durante i giorni del rapimento.
L’ho visto e forse lo rivedrei per altre mille volte o forse non vorrei averlo mai veduto e vissuto. ‘Esterno notte’. Un passaggio per noi che abbiamo vissuto quell’era e che viviamo quella odierna da sani di mente e non alienati. Non spaventatevi, scriviamo con termini usati nella fiction. Perché il nocciolo della questione è proprio legata ad alcuni passaggi: quanto fosse in sé Aldo Moro nelle lettere a Cossiga e a sua moglie, dalla prigionia delle Brigate Rosse. Provate a leggere quanto riportato all’inizio di questo scritto e ditemi se quell’uomo non fosse lucido e chiaro. Chi vorrebbe morire per mano di criminali? Le sue parole sono limpide. Sa di essere stato condannato a morte e non vede spiragli di salvezza e, soprattutto, quando scrive a Francesco Cossiga, allora Ministro dell’Interno e suo amico, praticamente spiega, tra le righe, che lui è una sorta di campione scelto fra i tanti “colpevoli” componenti l’intero esecutivo delle Democrazia Cristiana, colpevoli di un trentennio di ingiustizie al popolo, secondo le Brigate Rosse. Il mio compito finisce qui. Vi lascio alla lettura di quello scritto affinché ognuno di voi, possa provare a comprendere cosa c’era dietro quell’imboscata a Moro e ai 5 carabinieri della scorta uccisi.
Al ministro dell’Interno Francesco Cossiga
Caro Francesco,
mentre t’indirizzo un caro saluto, sono indotto dalle difficili circostanze a svolgere dinanzi a te, avendo presenti le tue responsabilità (che io ovviamente rispetto) alcune lucide e realistiche considerazioni. Prescindo volutamente da ogni aspetto emotivo e attengo ai fatti. Benché non sappia nulla né del modo né di quanto accaduto dopo il mio preleva mento, è fuori discussione – mi è stato detto con tutta chiarezza- che sono considerato un prigioniero politico, sottoposto, come Presidente della D.C., ad un processo diretto ad accertare le mie trentennali responsabilità (processo contenuto in termini politici, ma che diventa sempre più stringente). In tali circostanze ti scrivo in modo molto riservato, perché tu e gli amici con alla testa il Presidente del Consiglio (informato ovviamente il Presidente della Repubblica) possiate riflettere opportunamente sul da farsi, per evitare guai peggiori. Pensare dunque sino in fondo, prima che si crei una situazione emotiva e irrazionale. Devo pensare che il grave addebito che mi viene fatto, si rivolge a me in quanto esponente qualificato della D.C. nel suo insieme nella gestione della sua linea politica. In verità siamo tutti noi del gruppo dirigente che siamo chiamati in causa ed è il nostro operato collettivo che è sotto accusa e di cui devo rispondere. Nelle circostanze sopra descritte entra in gioco, al di là di ogni considerazione umanitaria che pure non si può ignorare, la ragione di Stato. Soprattutto questa ragione di Stato nel caso mio significa, riprendendo lo spunto accennato innanzi sulla mia attuale condizione, che io mi trovo sotto un dominio pieno ed incontrollato, sottoposto ad un processo popolare che può essere opportunamente graduato, che sono in questo stato avendo tutte le conoscenze e sensibilità che derivano dalla lunga esperienza, con il rischio di essere chiamato o indotto a parlare in maniera che potrebbe essere sgradevole e pericolosa in determinate situazioni. Inoltre la dottrina per la quale il rapimento non deve recare vantaggi, discutibile già nei casi comuni, dove il danno del rapito è estremamente probabile, non regge in circostanze politiche, dove si provocano danni sicuri e incalcolabili non solo alla persona, ma allo Stato. Il sacrificio degli innocenti in nome di un astratto principio di legalità, mentre un indiscutibile stato di necessità dovrebbe indurre a salvarli, è inammissibile. Tutti gli Stati del mondo si sono regolati in modo positivo, salvo Israele e la Germania, ma non per il caso Lorenz. E non si dica che lo Stato perde la faccia, perché non ha saputo o potuto impedire il rapin1ento di un’alta persona lità che significa qualcosa nella vita dello Stato. Ritornando un momento indietro sul comportamento degli Stati, ricorderò gli scambi tra Breznev e Pinochet, i molteplici scambi di spie, l’espulsione dei dissenzienti dal territorio sovietico. Capisco come un fatto di questo genere, quando si delinea, pesi, ma si deve anche guardare lucida mente al peggio che può venire. Queste sono le alterne vicende di una guerriglia, che bisogna valutare con freddezza, bloccando l’emotività e riflettendo sui fatti politici.
Penso che un preventivo passo della S. Sede (o anche di altri? di chi?) potrebbe essere utile. Con verrà che tenga d’intesa con il Presidente del Consiglio riservatissimi contatti con pochi qualificati capi politici, convincendo gli eventuali riluttanti. Un atteggiamento di ostilità sarebbe un’astrattezza ed un errore. Che Iddio vi illumini per il meglio, evitando che siate impantanati in un doloroso episodio, dal quale potrebbero dipendere molte cose.
I più affettuosi saluti
Aldo Moro