Martina Franca, laboratorio analisi in crisi: e la dottoressa farebbe i corsi di cucina chiusa in stanza

Nessuno interviene: medici e infermieri allo stremo, mentre la professionista… impiatta
Di Antonio Rubino

Succede a Martina Franca, nell’ospedale che da anni è un riferimento per l’intera provincia di Taranto. Un luogo dove medici e infermieri fanno i salti mortali – e non in senso metaforico – per garantire dignità ai pazienti, anche quando il sistema sanitario, di dignità, ne regala sempre meno.
Eppure, in un reparto fondamentale come il laboratorio analisi, oggi regna un paradosso talmente grottesco da sembrare inventato. Ma no, non è satira: è cronaca. Vera. Verissima.
C’è una dottoressa, medico del laboratorio, che da mesi – o forse anni – ha elaborato una singolare forma di “telelavoro in presenza”. Arriva in ospedale, sì. Ma si chiude in stanza. E lì resta. Tutto il turno. Nessun paziente, nessun collega, nessuna attività: solo silenzio. O quasi. Perché, dicono, la rete Wi-Fi della ASL venga sfruttata per ben altri scopi: corsi di cucina.
Analisi nel caos: attese, ritardi e diritti dimenticati
La situazione è grave. Il laboratorio analisi dell’ospedale di Martina Franca, un tempo macchina efficiente e orgoglio del territorio, oggi è allo stremo. Manca un medico all’appello, ufficialmente. Ma in realtà ne mancano due: uno perché non c’è, l’altra perché c’è… ma è come se non ci fosse.
E mancano ben otto tecnici di laboratorio, quelli che davvero mandano avanti la baracca. Gli esami domiciliari sono stati ridotti all’osso, le urgenze – i famosi codici 048 – non hanno più la priorità che meritano. I pazienti fragili aspettano, e aspettano, e aspettano. E nel frattempo, c’è chi sforna biscotti.
Un “masterchef ospedaliero” coperto dal silenzio
La protagonista di questa commedia all’italiana, secondo le testimonianze raccolte, sarebbe una dottoressa nota per un carattere definito da molti “scostante”. Ma il punto non è il carattere. Il punto è che da tempo questa professionista ha scelto di non esercitare le sue funzioni. Non esce dalla sua stanza, non partecipa all’attività, non si fa carico nemmeno del minimo indispensabile. E tutto questo mentre il reparto sprofonda.
C’è chi giura che durante le sue mattinate “blindate” nella stanza, segua corsi online di cucina. Gnocchi, arrosti, creme e dolci. Un laboratorio di analisi trasformato in un’aula di pasticceria.
Il muro di gomma della burocrazia
In qualunque altra azienda, pubblica o privata, un comportamento simile avrebbe già generato una reazione. Qui no. Qui si preferisce il silenzio. L’omertà. Forse per paura. Forse per quieto vivere. O forse perché il sistema ha perso ogni capacità di autodifesa.
Esiste un Consiglio di Disciplina. Ma pare che in questo caso sia rimasto inerte. Esiste un Direttore Sanitario. Ma non si registrano provvedimenti. E intanto, la professionista attende trasferimento. Ma a quanto pare… anche altrove non la aspettano a braccia aperte.
Eroi silenziosi… coperti di vergogna altrui
A salvare la faccia dell’intera struttura, ancora una volta, è il personale sanitario vero. Tecnici, infermieri, medici operativi. Quelli che non si nascondono. Quelli che – con un organico ridotto all’osso – portano avanti un servizio indispensabile.
Concorso sì, ma con domicilio
Il disastro non nasce solo dalla “dottoressa ai fornelli”. Nasce anche da un sistema di reclutamento assurdo. I concorsi premiano candidati di altre province – spesso da Bari – che appena assunti chiedono trasferimento. E vanno via. Lasciando i reparti sguarniti.
Il rischio del contagio organizzativo
Quella che oggi è una macchietta, potrebbe diventare domani un precedente. Perché se una professionista può permettersi di chiudersi in stanza per mesi senza lavorare, senza controllo, senza sanzioni, cosa impedirà ad altri di fare lo stesso?
Magistratura, ultima speranza
Sarà la magistratura, forse, a dover intervenire. Perché spesso – ahinoi – serve un articolo di giornale, una denuncia, un esposto per far muovere le acque stagnanti delle direzioni sanitarie. Speriamo che anche stavolta la verità venga raccolta – come spesso accade – prima dalla stampa che dagli organi interni.
[Nota della Redazione: In merito al presente articolo, si precisa che la figura professionale oggetto della ricostruzione non è un medico-chirurgo, bensì una biologa dirigente del laboratorio analisi dell’Ospedale di Martina Franca. La testata non intende attribuire titoli non corrispondenti alla realtà né confondere il lettore circa le responsabilità interne al reparto.]