Michele Punzi racconta il Festival della Valle d’Itria 2025: “Un viaggio tra guerre e pace”
La videointervista integrale a Botta e Risposta: novità, visioni e un’edizione che guarda al futuro
Martina Franca 15 Aprile 2025 – Il Festival della Valle d’Itria taglia il traguardo delle 51 edizioni e lo fa con una dichiarazione di intenti forte, chiara, culturale: “Guerre e Pace”. Una riflessione in musica, arte e parole su un tema attualissimo, guidata da un uomo che da anni custodisce la visione e la direzione culturale del Festival: Michele Punzi, presidente della Fondazione Paolo Grassi.

Quando risponde, Michele Punzi non alza mai la voce. È uno di quei rari uomini che hanno fatto della cultura un mestiere e della sobrietà uno stile. Lo incontriamo in collegamento con Milano il giorno prima prima della conferenza stampa che svelerà ufficialmente la 51ª edizione del Festival della Valle d’Itria. Un’edizione che già nel titolo è una dichiarazione di poetica, un’intenzione netta, forse anche una provocazione gentile: “Guerre e Pace”.
Pochi minuti dopo l’inizio della nostra intervista a Botta e Risposta, Punzi sorride: «Il Festival è sempre stato un laboratorio, una sfida. Quest’anno più che mai vogliamo che sia anche uno specchio del tempo che viviamo». Poi si fa serio, perché il tema scelto non permette leggerezza gratuita. Guerre e pace, due parole che sembrano opposte ma che in fondo si appartengono. Due parole che raccontano il mondo, ma anche l’animo umano. «La musica è da sempre testimone delle epoche, delle tragedie, delle rinascite. L’opera racconta l’umanità nei suoi estremi: l’amore e la morte, la guerra e la pace. Quest’anno vogliamo esplorare proprio questo».

Da qui parte tutto. E da qui prende forma il programma 2025, presentato ufficialmente al Piccolo Teatro di Milano, in uno degli spazi simbolo della cultura italiana. Perché portare un festival nato in provincia sul palcoscenico milanese? La risposta arriva subito: «Milano è la città che rappresenta la cultura italiana nel mondo. Vogliamo dire che anche una piccola città del Sud può farsi ascoltare, può dire qualcosa di grande. E lo fa attraverso l’arte».
Il cartellone di quest’anno è costruito attorno a tre opere. La prima è il Tancredi di Gioachino Rossini. Ma, come sempre accade al Festival della Valle d’Itria, non si tratterà di una semplice messa in scena. Il capolavoro rossiniano sarà proposto in due versioni: una con il lieto fine veneziano e una con il tragico epilogo di Ferrara.
«Vogliamo mostrare come la stessa storia possa cambiare il suo senso in base a come termina. È un modo per interrogare il pubblico, per metterlo davanti al potere narrativo della musica», dice Michele. È la prima volta che un’opera viene presentata così, in doppia lettura. Un’operazione audace, che rivela quanto questo festival non sia solo un evento lirico, ma anche un esperimento intellettuale.
Il secondo titolo è una vera e propria rarità: Owen Wingrave di Benjamin Britten. Un’opera pacifista, scritta per la televisione e mai rappresentata in Italia. Sì, proprio così. Mai. «Non potevamo ignorare questa assenza. È un’opera fortemente simbolica, contro la guerra, contro la logica della violenza ereditata. Il protagonista, Owen, rifiuta il combattimento, va contro la tradizione della sua famiglia militare. E viene punito per questo. È una storia moderna, profondamente attuale».

La terza opera è un piccolo gioiello di Ravel, L’enfant et les sortilèges, una favola musicale che parla di trasformazione, di coscienza e di rispetto per ciò che ci circonda. Un bambino disobbediente si trova a fare i conti con le conseguenze delle sue azioni. «È un’opera lieve, ma potente. Chiude il cerchio tematico dell’edizione, riportando tutto al senso di responsabilità, alla capacità di cambiare, di crescere».
Tre opere. Tre prospettive. Tre visioni che si intrecciano, dando corpo e voce a un Festival che sa sempre sorprendere. Ma il 2025 è anche l’anno del debutto di Silvia Colasanti come direttrice artistica. Compositrice, musicista raffinata, mente creativa che ha già lasciato il segno nel panorama culturale italiano, Colasanti è la prima donna a ricoprire questo incarico nella storia del Festival. «Silvia ha portato con sé energia, profondità, uno sguardo aperto sul mondo. Ha costruito un programma coerente, ambizioso, ma sempre legato alla nostra identità. È una scelta che guarda avanti», racconta Punzi con orgoglio sincero.
E se la direzione artistica segna un nuovo corso, anche l’organizzazione logistica del Festival guarda al futuro. Quest’anno si punta alla certificazione Ecoevents, un percorso di sostenibilità che coinvolge ogni aspetto dell’evento: dalla produzione delle scenografie alla gestione dei trasporti, dai materiali utilizzati al coinvolgimento del pubblico. «Abbiamo il dovere di pensare al nostro impatto sul territorio e sul pianeta. La bellezza non può più essere disgiunta dalla responsabilità», dice Punzi.
E a proposito di territorio, il Festival 2025 si estenderà come sempre oltre i confini del Palazzo Ducale. Masserie, chiostri, piazze, basiliche: la musica abiterà i luoghi più simbolici e affascinanti di Martina Franca. Una scelta estetica, ma anche politica. Portare l’arte fuori dai teatri, tra la gente. Riconnetterla con la vita quotidiana. «Ogni angolo di questa città ha una storia da raccontare. Il Festival è anche questo: un modo per dare voce ai luoghi».
Parallelamente alle tre opere principali, tornano le rassegne collaterali che negli anni hanno ampliato l’identità del Festival. In-Chiostro, incontri a metà tra spiritualità e musica. Trame in musica, dove il teatro dialoga con la letteratura. E i celebri Concerti del Sorbetto, piccoli momenti musicali da gustare durante le pause delle rappresentazioni. «Vogliamo creare un’esperienza culturale a 360 gradi, accessibile, curiosa, coinvolgente», aggiunge il presidente.
Un’attenzione particolare sarà riservata, come sempre, ai giovani. Masterclass, laboratori, residenze artistiche. Il Festival forma ogni anno decine di nuovi talenti. Cantanti, registi, ma anche tecnici e operatori culturali. Una fucina creativa che guarda avanti. «Il nostro compito non è solo offrire spettacoli. È costruire futuro. Dare strumenti. Creare opportunità».
A questo punto dell’intervista, c’è una domanda che sorge spontanea. Dopo 51 anni, dopo una pandemia, una ripresa, tante scommesse vinte, cosa sogna ancora Michele Punzi per il suo Festival? La risposta arriva lenta, ma chiara: «Sogno che il Festival della Valle d’Itria diventi un riferimento per tutto il Mediterraneo. Un luogo di incontro tra culture, un laboratorio permanente. Un’utopia? Forse. Ma ci crediamo ogni giorno».
E allora la domanda finale è quasi d’obbligo: perché quest’anno, più che mai, non si può mancare? Michele non esita: «Perché questa edizione è un invito alla riflessione. Alla bellezza. Alla consapevolezza. Perché abbiamo bisogno di musica che non sia solo intrattenimento, ma nutrimento. Perché in un’epoca in cui tutto corre, il Festival ci chiede di fermarci, ascoltare, pensare. E magari, cambiare qualcosa dentro di noi».
A fine registrazione, si spegne il microfono, ma resta nell’aria la sensazione che quest’anno a Martina Franca succederà qualcosa di speciale. Un Festival che non è solo spettacolo, ma pensiero. Non solo tradizione, ma possibilità. Non solo arte, ma atto politico, umano, poetico.
Come sempre, chiudiamo Botta e Risposta con una sintesi silenziosa. Abbiamo incontrato un presidente riflessivo, determinato, visionario. E abbiamo capito che il Festival della Valle d’Itria 2025 non sarà solo una rassegna musicale. Sarà una proposta culturale. Un messaggio civile. Una carezza nel caos. E forse, anche un piccolo antidoto alle guerre del nostro tempo.