Detenuto impiccatosi nel carcere di Foggia: la famiglia pretende chiarimenti

Il carcere di Foggia di via delle Casermette è stato teatro ieri pomeriggio di un tragico per quanto non inusuale evento di cronaca, il suicidio di un detenuto, evento che nelle carceri italiane non è affatto raro, com’è noto, ma che pone ogni volta degli interrogativi sulla situazione carceraria.
Il detenuto che ha commesso il gesto estremo, impiccandosi alle sbarre della finestra del bagno, era un 45enne di Vieste, posto in arresto due giorni prima in quanto, in preda ad un grave stato di alterazione dovuto all’assunzione di sostanze alcoliche, era stato coinvolto in una lite furibonda con la moglie.
Egli era tuttavia anche un soggetto fragile, in quanto affetto da disturbi psichiatrici, ed in passato già autore di atti di autolesionismo. A dispetto di queste considerazioni, che forse avrebbero meglio suggerito di ricorrere ad un Trattamento sanitario obbligatorio e poi, al limite, ad uno spostamento dell’uomo in una REMS, le residenze pensate per chi abbia commesso reati imputabili (anche) al proprio disturbo mentale, l’uomo era stato tradotto in carcere e messo in una cella con altri sei detenuti, una delle tante impegnate per il doppio o quasi delle propria regolare capienza.
Ma ci sarebbe, chiaramente, da verificare anche un’eventuale omessa vigilanza da parte della polizia carceraria. Il legale della famiglia, Antonio Merlicco, ha affermato: “sporgeremo una denuncia contro ignoti, per verificare se tutto quello che andava fatto è stato fatto, come è stato fatto e con quali tempistiche. Nell’ipotesi in cui dovessero rilevarsi delle mancanze, agiremo sia in sede penale che in sede civile”.
Sulla questione era intervenuto già il Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria (Sappe), richiamando come al solito l’attenzione sulla questione del sovraffollamento carcerario: “Non possiamo escludere che il fatto di essere stato sistemato in una stanza sovraffollata, così come lo sono tutte le altre nel penitenziario del capoluogo dauno, possa aver negativamente influito sulla decisione di compiere l’insano gesto”.
Anche la Cisal ha puntato il dito sulle carenze strutturali che riguardano le carceri italiane, in termini di spazi e di personale. La situazione psicologica particolare in cui versava il detenuto, hanno finito col mettere ancora più in luce, in maniera drammatica, la strategia chiaramente inopportuna di affrontare un caso che richiedeva diversi strumenti d’intervento.