“No al forno crematorio”: a Caprarica di Lecce un comitato di cittadini si oppone alla costruzione

L’Amministrazione comunale di Caprarica di Lecce sta portando avanti un progetto per la costruzione nel cimitero di un forno crematorio, una decisione tuttavia invisa ad una parte della popolazione la quale, da un paio di anni, ha costituito un comitato significativamente denominato “Comitato NO FORNO Crematorio a Caprarica di Lecce“.
Il comitato ha provveduto a promuovere una raccolta firme e si è poi costituito in giudizio contro l’Amministrazione di Caprarica con un ricorso al Tar di Lecce, che verrà discusso la prossima settimana.
I cittadini che hanno aderito a questa mobilitazione sostengono come la localizzazione dell’impianto sia pericolosa per la salute pubblica, essendo il cimitero comunale posizionato a ridosso del paese, in una zona peraltro confinante con quella di altri Comuni dell’hinterland a sud di Lecce. Pericolosa sia per le emissioni dirette sia per quello che esse possono arrecare ai danni del settore agricolo.
Più in generale, tale scelta da parte degli amministratori finirebbe con il sacrificare anche l’immagine di Caprarica, facendola associare ad luogo dal sapore vagamente macabro. Giovedì si è tenuta quindi, in una parrocchia del paese, un’affollata assemblea pubblica del comitato, alla quale hanno preso parte anche medici ed esperti della questione ambientale, in particolare delle ricadute che gli agenti inquinanti, fra i quali un forno crematorio comunque rientra, hanno sulla salute dei cittadini.
I relatori, fra i quali era presente l’oncologo Giuseppe Serravezza, hanno citato anche la Convenzione di Stoccolma, che cita i forni crematori tra i produttori dei cosiddetti Pop, sostanze chimiche non biodegradabili immesse in atmosfera. Assieme ad azoto, diossido di zolfo, particolato (fine e ultrafine), piombo, benzene, mercurio (tossico anche a concentrazione minime), cadmio e diossine (restano in vita circa venti anni e possono provocare linfomi, alterazioni ormonali e problemi nello sviluppo del feto)
Ma qual è in Italia la situazione che riguarda queste strutture?
Diciamo innanzitutto che la cremazione si è andata molto diffondendo come pratica nel corso degli anni, costituendo più di un terzo delle scelte post mortem. Nel 2023 nei 91 impianti di cremazione presenti in Italia, si sono effettuate 252.075 cremazioni di cadaveri. Erano state 259.915 nel 2022, ma in presenza di un numero più elevato di decessi, pertanto l’incidenza della cremazione sul totale dei decessi passa dal 36,43% del 2022 al 38,16% nel 2023.
La crescita risulta più accentuata nelle regioni meglio dotate di impianti (Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana). Si evince quindi una chiara prevalenza delle regioni del nord Italia ed una contestuale “migrazione” da alcune regioni, attualmente sottodotate di impianti, fra le quali c’è anche la Puglia, che ha un solo impianto, quello di Bari, verso altre che ne dispongono in numero maggiore.
Per questo motivo si registrano anche pareri favorevoli all’iniziativa presa dal Comune leccese, in quanto si fa presente che attualmente, per vedere esaudita la richiesta di cremazione, sia necessario fare lunghi viaggi, con i costi conseguenti per il trasporto, a Bari ma anche fuori regione, fino a Cosenza o Salerno, quando l’impianto del capoluogo regionale non è disponibile.
A regolare la materia intervenne, nel 2001, un decreto legislativo che legava il ricorso alla cremazione a due condizioni fondamentali: la richiesta esplicita, anche per mezzo dell’iscrizione ad un apposito registro, da parte dei cittadini, e poi la certezza che la salma del defunto non debba essere in seguito riesumata per essere sottoposta ad esami autoptici per dimostrare la causa del decesso.