“Tutto molto bello”: il calcio che ci raccontava Bruno Pizzul

Con Bruno Pizzul se ne va la voce che ha accompagnato le emozioni più forti legate alla “cosa più importante fra le cose che contano di meno”, per usare l’efficace perifrasi di Arrigo Sacchi: il calcio.
Il calcio che anzi da piccoli, da ragazzi, è per tantissimi la cosa più importante di tutte. O almeno lo era per chi amava questo sport ai tempi in cui Bruno Pizzul era il cantore della Nazionale e delle più importanti sfide nelle coppe europee.
Il grande giornalista friulano, morto per un aggravamento improvviso delle sue condizioni di salute tre giorni prima di compiere 87 anni, aveva letteralmente una marcia in più, un tratto distintivo inarrivabile, che era dato dal timbro vocale caldo, dall’eloquio ineccepibile, privo della sia pur minima sbavatura sintattica, dal lessico ricercato e sempre appropriato, dai ritmi con cui conduceva la telecronaca.
Pizzul sapeva tenere egregiamente la scena per l’intera durata dell’incontro sia per le sue eccellenti qualità oratorie, per la proprietà del linguaggio, ma anche perché non eccedeva nel riempire di parole ogni singola fase del gioco, anche di quelle del tutto trascurabili. E tutto questo senza usufruire per molti anni della seconda voce, introdotta in Rai solo a partire dai Mondiali del ’90 ma ancora saltuariamente.
L’autorevolezza tecnica del resto gli era data anche dal fatto di aver giocato a livelli professionistici, in B col Catania, dove in un’amichevole ebbe l’onore di marcare nientepopodimenochè del grande Omar Sivori, e poi a Ischia e a Udine, prima di lasciare l’attività per un infortunio.
“La mia passione per il calcio era inversamente proporzionale al talento“, aveva dichiarato in un’intervista, ma anche in virtù di quell’infortunio egli cambiò strada, dedicandosi prima all’insegnamento per alcuni anni, forte della sua laurea in Legge, e poi abbandonando anche quell’impiego, pur a malincuore , perché era risultato vincitore di un concorso per telecronisti indetto dalla Rai.
Divenne prima voce della Nazionale a partire da Messico ’86, e lo fu fino al 2002, nel periodo letteralmente d’oro del calcio italiano, ma che paradossalmente non coincise con nessun successo ai Mondiali o agli Europei. Pizzul ha raccontato da par suo quella sequenza di Mondiali tutti segnati da sconfitte dagli undici metri dell’Italia, dal ’90 al ’98, raccontando in quelle occasioni a decine di milioni di italiani i goal di Baggio e Schillaci, le prodezze difensive di Baresi, l’estro di Donadoni, le sgroppate sulla fascia di Maldini, ma anche il fatale errore di Zenga sul goal di Caniggia o quei dannati errori dal dischetto…
Chi più di un fuoriclasse del giornalismo sportivo, di un sontuoso e inappuntabile cronista, avrebbe meritato di raccontare una grande vittoria degli Azzurri di Vicini o di quelli di Sacchi? Il destino ha voluto diversamente, per la nostra generazione di attuali quarantenni.
In questo giorno tanto triste, in cui una volta di più facciamo i conti con l’inesorabile trascorrere del tempo, perché la morte di un personaggio pubblico al quale si legano i ricordi e le emozioni più belle della nostra vita ha sempre, inevitabilmente, questo effetto correlato, quello di farci fare i conti con il passare del tempo, a noi resta l’amara consapevolezza che, molto prima della morte di questo suo grande cantore, sia finito anche quel calcio “tutto molto bello” che egli sapeva raccontare con impareggiabile maestria anche in occasione della più brutte delle partite o di autentiche sciagure, quale quella della finale di Coppa dei Campioni del 1985, dove seppe portare avanti per molte ore una telecronaca di un evento sportivo sconfinato in un’immane catastrofe.