Malesangue,un documento privo di infingimenti sulla brutalità del lavoro, e della vita, a Taranto

145 pagine che sanno di sangue amaro. Il sangue amaro della malattia, della paura, del lavoro che non ha alternativa, degli odori insopportabili di metalli, quelli che sarebbero già presenti nel sangue naturalmente e non ci sarebbe bisogno che ve ne fossero infusi altri, che ammorbano e uccidono.
Questo l’impasto malsano che esce dalle pagine di “Malesangue. Storia di un operaio dell’Ilva di Taranto”, uscito per Edizioni Alegre ad opera di Raffaele Cataldi, 54 anni, dipendente del siderurgico dal 1997 ma dal 2018 in Cassa integrazione a zero ore. Nel 2020 la scoperta amara di un tumore, che per il momento ha vinto, grazie alla chirurgia, ma che richiede costanti controlli visto il rischio di recidive.
Il libro è un atto d’accusa diretto contro quella che è stata per intere generazioni di lavoratori della Provincia di Taranto, e non solo di questa, la più concreta possibilità di avere un impiego stabile, un’industria per tanti anni dello Stato, con prospettive quindi solidissime. Ma non riformabile, secondo Cataldi: non può esistere un siderurgico “buono”, non nell’impianto di Taranto almeno, un siderurgico che coniughi cioè lavoro e rispetto dell’ambiente e della salute di operai e cittadini.
“A cosa servono le bonifiche scrive – pur avendo egli stesso fatto un corso di formazione in materia – se quel catorcio resta sempre aperto, inquina e butta fuori materiale nocivo” ? Un’utopia la conversione all’idrogeno, per uno stabilimento a ciclo integrale, sostiene l’autore, che fu nel 2012 fra i fondatori del Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti, subito dopo il sequestro dell’Ilva.
Nelle pagine del libro scorrono i ricordi tristi verso i colleghi ammalatisi e deceduti a causa del lavoro nello stabilimento, così come di quelli, ben 9, che vi hanno perduto la vita dopo il 2012 per incidenti dovuti all’inottemperanza verso l’ordinanza del gip Todisco, morti dolose, frutto della faciloneria e della trascuratezza. Quindi imperdonabili.
A risollevare un po’ questo scenario tanto lugubre, come dimostra la stessa foto di copertina, solo la passione per il pallone e per i colori del Taranto calcio, per il quale l’autore è stato anche allenatore dei portieri in serie D. E se anche il pallone a Taranto è destinato a ripartire dal Campionato dilettantistico, lo sport offre almeno la possibilità di ricominciare dopo le sconfitte.