Sara Piffer, una giovanissima vita spezzata dall’arroganza altrui

Sara Piffer era una giovane e promettente ciclista di 19 anni di Palù di Giovo, lo stesso paese del campionissimo Francesco Moser, ieri mattina si stava allenando sulle strade del suo Trentino in compagnia del fratello Christian, anche lui valido ciclista della categoria under 23.
Sara Piffer è l’ennesima vittima di chi sulla strada si comporta dando l’impressione di essere il solo padrone della stessa, di chi, quando si mette al volante di un mezzo motorizzato, mostra di non avere il minimo rispetto per la vita altrui.
Gli esempi forniti dalle cronache giornalistiche sono quotidiani, e ci raccontano che sulle strade italiane una porzione non trascurabile degli automobilisti usa il suo mezzo di trasporto come un’arma impropria, consapevole o non che egli, o ella, possa essere di questo.
Come spiegare altrimenti la strage di utenti “deboli” della strada, pedoni o ciclisti che siano, falciati da chi abusa del proprio mezzo per calpestare lo spazio vitale degli altri, correndo a velocità troppo elevate, fregandosene delle strisce pedonali, magari pure compulsando il proprio telefono cellulare?
Una realtà orribile, che tendiamo ad attribuire in automatico ai guidatori più giovani. Nel caso in questione, nell’uccisione, perché di questo si tratta, di Sara, c’è un aggravante, visto che l’investitore aveva un’età piuttosto avanzata: 70 anni. L’uomo, dalle ricostruzioni fornite dal fratello Christian, nell’effettuare un sorpasso del tutto azzardato, ha finito col travolgere i due fratelli, che si allenavano assieme.
Per Christian ferite non gravi, ha potuto raccontarla. Si tratta semplicemente di attimi, del puro caso. Forse lui, a differenza della sorella, in quegli istanti, aveva lo sguardo rivolto davanti a sé, ed ha potuto schivare il pericolo mortale. Chi scrive ha vissuto direttamente, tante, troppe di queste situazioni, nelle quali automobilisti completamente sconsiderati effettuano sorpassi che non è improprio definire criminali, finendo con lo sfiorare il ciclista che viene dalla parte opposta, magari costringendolo a buttarsi nel fosso pur di salvarsi.
Perché il ciclista, per alcuni, anche quando percorre la propria traiettoria stando il più possibile sulla destra della carreggiata, è evidentemente un’entità invisibile. Qualcuno la cui vita vale di meno, qualcuno con la cui vita si può giocare, scommettendo di fare in tempo ad effettuare il sorpasso senza travolgerlo.
E se la scommessa è persa, chissenefrega, non sono mica io l’idiota che sta su una bici di pochi kg, io sto sul mio suv, o quantomeno sulle mie quattro ruote a motore, 1000 volte più sicuro nel mio abitacolo di quanto mai possa esserlo quello scemo che viene di fronte.
Sara si era diplomata col massimo dei voti al liceo scientifico lo scorso anno. Sara però, prima di decidere cosa fare da grande, aveva chiesto e ottenuto dai suoi genitori il permesso di dedicarsi per un anno solo al ciclismo, per capire se il suo sport sarebbe potuto diventare anche un lavoro.
Aveva tutto il diritto, Sara, di esperire il suo tentativo. Qualcuno ha deciso invece per lei. Qualche istante prima, parlando con il fratello, felici di allenarsi insieme, gli aveva chiesto di andare a fare una salita che si trovava di quelle parti. In Trentino c’è solo l’imbarazzo della scelta. Una persona si è arrogata il diritto di impedirle quella scalata, di decidere per lei che la sua vita valesse meno del suo sorpasso.
Rispetto reciproco in strada, a tutte le latitudini. I ciclisti a destra e in fila, quando pedalano in gruppo, gli automobilisti con il massimo dell’attenzione verso tutti gli utenti deboli della strada. Tutti gli automobilisti sono anche pedoni, se non ciclisti. Se lo ricordino, quando si mettono alla guida.