Da Zalone a Duro: il genio pugliese di Gennaro Nunziante


Ci sono incontri che lasciano il segno, anche a distanza di decenni.
Era circa trent’anni fa quando conobbi Gennaro Nunziante con il quale discutevamo della produzione televisiva di Portici d’estate.
All’epoca dirigeva Antenna Sud, l’emittente regionale pugliese che era una fucina di talenti.
Era già un uomo con il sorriso sincero e la battuta pronta, ma quello che colpiva davvero era il suo sguardo attento, curioso, sempre pronto a cogliere il dettaglio che agli altri sfuggiva, ma emanava una grande professionalità.
Non immaginavo allora che quell’uomo sarebbe diventato uno dei registi più influenti del cinema italiano contemporaneo. O forse sì, perché certe cose si sentono nell’aria.
Gennaro, barese nato sessantatre anni fa, è figlio della Puglia, una terra che gli scorre nelle vene e che spesso si riflette nelle sue opere. In questa regione ha coltivato un modo unico di raccontare il mondo: con ironia, profondità e un legame inscindibile con la realtà.
Il suo talento non è nato per caso, ma si è forgiato in anni di duro lavoro e sperimentazione.
Antenna Sud è stata la sua palestra creativa, dove ha imparato a mescolare semplicità e complessità, leggerezza e profondità, sempre con un occhio attento al pubblico.

Il grande salto è arrivato anni dopo, quando Gennaro ha incontrato Checco Zalone, un altro talento pugliese dal cuore grande.
La loro collaborazione ha dato vita a film che non solo hanno infranto record al botteghino, ma hanno anche raccontato l’Italia con uno specchio spietato e al tempo stesso divertente.
Cado dalle nubi, Che bella giornata, Sole a catinelle e Quo Vado? non sono solo film comici, ma istantanee della nostra società, fatte con una maestria che pochi riescono a raggiungere.
Oggi voglio raccontarvi un’altra pagina del suo percorso artistico, quella che lo ha visto dirigere Angelo Duro nel suo ultimo film, Io sono la fine del mondo.

Questo progetto è diverso dai precedenti, eppure porta la firma inconfondibile di Gennaro: una regia che sa esaltare le qualità del protagonista, un racconto che diverte e fa riflettere, un equilibrio perfetto tra commedia e introspezione.
Il film racconta la storia di Angelo, un autista di NCC a Roma che si ritrova a dover affrontare una situazione che molti temono: prendersi cura dei genitori anziani con cui non ha più rapporti da anni.
È una storia di distanza emotiva, di rapporti familiari complicati e di quel senso di smarrimento che accomuna tanti figli della nostra epoca.
Ma Gennaro Nunziante, con la sua abilità di regista, è riuscito a trasformare questa premessa drammatica in una commedia intelligente, capace di far sorridere e commuovere nello stesso istante.
Angelo Duro, noto per il suo umorismo irriverente, è stato una scelta perfetta per il ruolo.
E qui si vede la grandezza di Nunziante: ha saputo domare l’irruenza del comico, canalizzandola in una performance autentica e stratificata.
La pellicola non si limita a raccontare una storia, ma invita lo spettatore a riflettere su temi universali come il senso di responsabilità, la solitudine e la ricerca del significato della propria vita.
Una scena in particolare resta impressa: Angelo, di fronte ai suoi genitori ormai fragili, li osserva come se li vedesse per la prima volta.
Non c’è dialogo, solo uno scambio di sguardi carico di emozione. È qui che si riconosce il tocco di Nunziante, capace di comunicare tanto con così poco.
Quello che rende Gennaro Nunziante unico è la sua capacità di connettersi con il pubblico.
Non si limita a raccontare storie: le vive, le respira, le trasmette con una sensibilità rara.
Ogni sua pellicola è un dialogo con lo spettatore, un invito a riflettere su se stessi e sul mondo che ci circonda.
Eppure, nonostante il successo, Gennaro è rimasto un uomo umile, lontano dalle luci della ribalta.
Lo incontri e ti sembra di parlare con un vecchio amico, uno di quelli che sa sempre trovare la parola giusta al momento giusto.
La sua regia è una danza tra semplicità e complessità. Sa raccontare storie che sembrano quotidiane, ma che in realtà scavano in profondità nell’animo umano.
Sa come far ridere senza scadere nella banalità e come commuovere senza essere mai retorico. È questa capacità di bilanciare gli opposti che lo rende un maestro nel suo campo.
Io sono la fine del mondo ha già conquistato il pubblico e la critica, e c’è da scommettere che sarà solo l’inizio di una nuova fase nella carriera di Nunziante.
Lui, che ha saputo reinventarsi più volte, continuerà a sorprenderci con storie che parlano di noi, dei nostri sogni, delle nostre paure.
Per chi, come me, ha avuto la fortuna di conoscerlo tanti anni fa, è un orgoglio vedere dove è arrivato.
Ma la cosa più bella è sapere che Gennaro non ha mai perso quel sorriso sincero e quello sguardo curioso con cui lo incontrai ad Antenna Sud.
È ancora lo stesso uomo, con un talento che cresce e si rinnova ogni giorno.
E, come ogni grande artista, non ha bisogno di proclami o di gesti eclatanti.
Gli basta una macchina da presa e una storia da raccontare. Perché, alla fine, è questo che fa Gennaro Nunziante: racconta l’Italia con film che sbancano al botteghino come quest’ultimo, senza dimenticare i precedenti di Checco Zalone.