Il verdetto che ribalta tutto: assolti i dodici imputati della Banca della Valle d’Itria


Un decennio di battaglie giudiziarie si chiude con una sentenza che restituisce dignità e verità. Ecco i protagonisti di una storia di giustizia e redenzione.
La chiusura di un capitolo lungo dieci anni
Il Tribunale di Taranto ha scritto la parola fine su una delle vicende giudiziarie più complesse della Puglia.
I dodici imputati legati alla Banca della Valle d’Itria sono stati assolti con la formula “il fatto non costituisce reato”.
Dopo oltre dieci anni di processi e accuse che hanno segnato vite e carriere, la giustizia ha fatto il suo corso, restituendo dignità e verità a chi ha vissuto sulla propria pelle questo lungo calvario.

Chi sono gli assolti?
Tra gli assolti spiccano figure di rilievo come Aldo Cassese, noto imprenditore locale, Luigi Blasi, ex presidente del Taranto Calcio, e Giorgio Guacci, direttore commerciale.
Insieme a loro, la sentenza ha coinvolto dirigenti e consiglieri come Severino Giangrande, Francesco Minno, Filomena Carucci, Nicola D’Ippolito, Giovanni Lenoci, Roberto Maggi, Cataldo Ciccarone, Luciano Reale, Luigi Ecclesia, Giuseppe Lezza e Anna Cassano.
Questi nomi, per anni associati a un’intricata rete di accuse, sono ora simboli di una vicenda giudiziaria finalmente chiarita.
La nascita e la caduta della Banca della Valle d’Itria
Fondata nel 2005 dal compianto senatore Giuseppe Semeraro, la Banca della Valle d’Itria aveva l’ambizione di essere un punto di riferimento per famiglie e imprese locali.
Tuttavia, il commissariamento del 2012, disposto dalla Banca d’Italia, segnò l’inizio di un percorso che portò alla liquidazione coatta amministrativa e alla cessione delle attività a BancApulia per un valore simbolico di un euro.
Una decisione che, ancora oggi, solleva interrogativi sul perché non siano state tentate alternative come la ricapitalizzazione o un piano di rilancio.
La linea difensiva e il verdetto
La linea difensiva, guidata dagli avvocati Egidio Albanese, Lorenzo Bullo, Gianfranco Chiarelli, Dante Castellana ed Enzo Sapìa, ha lavorato per anni per dimostrare l’infondatezza delle accuse.
La sentenza, emessa dal collegio presieduto dalla dottoressa Elvia Di Roma, ha riconosciuto la verità, liberando gli imputati dal peso delle accuse e restituendo loro la dignità personale e professionale.
Una riflessione sul sistema bancario
Questa vicenda va oltre la dimensione locale e invita a riflettere sul sistema bancario italiano.
Perché un’istituzione radicata nel territorio è stata sacrificata senza esplorare soluzioni alternative?
Perché si è preferito smantellare un progetto che rappresentava una speranza per l’economia locale?
Domande che, anche a distanza di anni, restano senza risposte e lasciano spazio a un senso di amarezza per un destino che poteva essere diverso.
Una lezione per il futuro
Dietro ogni numero e ogni bilancio, però, ci sono vite, progetti e comunità.
La storia della Banca della Valle d’Itria è un monito: la giustizia può fare il suo corso, ma le ferite inflitte da processi così lunghi e complessi richiedono tempo per rimarginarsi.
Gli imputati hanno affrontato anni di sacrifici e sofferenze, ma il loro riscatto rappresenta anche una vittoria per l’intero territorio, che merita rispetto e attenzione.
Questa sentenza segna la chiusura di un capitolo doloroso, ma il suo insegnamento deve rimanere vivo.
La ricerca della verità non può avvenire a scapito di chi lavora per costruire qualcosa di positivo.
È un invito a guardare al futuro con maggiore attenzione e consapevolezza, affinché storie come questa non si ripetano.