Il “Grande Salento” fra storia delle sue genti e inerzie dei suoi amministratori nel libro di Lino De Matteis
Il festival del “Libro emergente” ha ospitato ieri sera, nel cortile interno del castello federiciano di Mesagne, alla presenza dell’autore e del sindaco di Mesagne, Antonio Matarrelli, la presentazione del volume curato dal giornalista Lino De Matteis “Storia del Grande Salento”, giunto alla sua seconda ristampa.
L’autore ha spiegato innanzitutto quale sia stato lo spunto che gli ha suggerito di impegnarsi in questa piacevole fatica editoriale, individuando due ordini di ragioni: un’opera che presentasse assieme la storia antica delle tre province di quella che era denominata, fino all’avvento del Fascismo, “Terra d’Otranto”, facendone emergere i tratti identitari comuni, mancava dalla fine dell’ ‘800, da quando fu pubblicata cioè l’opera di Cosimo De Giorgi.
Serviva però pure aggiornare quella storia, raccontarne l’ultimo secolo e oltre di vita, a partire proprio da quando, negli anni ’20, il governo Mussolini decise di creare due province ulteriori, quella di Taranto e quella di Brindisi, accanto a quella di Lecce, nei cui confini era stato fino ad allora tutto compreso. Successivamente, durante la redazione della Costituzione del 1948, soprattutto per opera dei deputati leccesi, in particolare di Giuseppe Codacci Pisanelli, si arrivò ad un passo dalla costituzione di una regione amministrativa denominata “Salento”, nella quale sarebbero stati compresi i territori delle tre province della parte meridionale della Puglia.
Tuttavia, un po’ per il disinteresse verso l’iniziativa da parte dei deputati tarantini, un po’ per una reticenza verso l’iniziativa da parte di Aldo Moro e Palmiro Togliatti, il progetto fu fermato ed i territori delle tre province furono accorpati alla Terra di Bari e alla Daunia nelle “Puglie”.
Perché allora denominare l’antico territorio della Terra d’Otranto come Grande Salento? Da cosa deriva l’inserimento dell’aggettivo “grande” accanto al toponimo tradizionale Salento? Perché non chiamarlo solo Salento?
Perché il Salento geografico, la Penisola Salentina propriamente detta, ha per confini la linea che congiunge Taranto sullo Jonio e la marina di Ostuni sull’Adriatico. Considerando questa delimitazione, sarebbero esclusi la parte più settentrionale della provincia di Brindisi ed un pezzo considerevole della provincia di Taranto.
Dal punto di vista invece più strettamente “utilitaristico”, parlare di “Grande Salento” serve, o servirebbe, a costituire come un tutt’uno, in modo da poterlo fare pesare di più sui tavoli decisionali regionali e nazionali, un territorio che a livello di infrastrutture è particolarmente arretrato, e che sconta ogni giorno tale arretratezza.
Due esempi su tutti: l’aeroporto di Brindisi, denominato per l’appunto Aeroporto del Salento, è mal collegato con i territori più periferici delle province di Lecce e Taranto, o comunque non integrato in un’efficace rete di trasporti, come del resto si potrebbe dire a proposito dei collegamenti ferroviari del sud Salento o dell’isolamento ferroviario di cui soffre Taranto.
O ancora, la grande incompiuta della “Bradanico-Salentina”, la superstrada che avrebbe dovuto collegare Lecce con Taranto, e che invece, ad un secolo dalla sua ideazione, è un insieme informe di strade provinciali che attraversano i centri abitati, con qualche ammodernamento all’orizzonte e in via di realizzazione che non soddisfa, tuttavia, le necessità del territorio.
Da questo punto di vista va detto anche che ben tre protocolli d’intesa stipulati nel corso del tempo dai presidenti delle tre province jonico-salentine sono restati lettera morta, incapaci di costituire una base per far pesare maggiormente le rivendicazioni del sud della Puglia, vittima fra l’altro esso stesso di campanilismi e incomprensibili rivalità o astiosità interne.
Va infatti rilevato, ha aggiunto De Matteis come, specialmente a partire da quando Taranto è stata sacrificata, o ha scelto di sacrificarsi, sull’altare della siderurgia, lasciando stare qui un bilancio dei vantaggi e degli svantaggi che questo ha significato, la sua rotta si è radicalmente allontanata dall’immagine che ha invece Lecce, come città a vocazione turistica (oltreché artistica) assieme a tutta la costa del territorio salentino.
Un territorio che conta quasi la metà della popolazione pugliese, si mostra quindi, in conclusione, incapace di fare sistema, finendo col recitare un po’ la parte dei capponi con i quali Renzo si presenta a don Abbondio.