La Procura di Brindisi chiede due ergastoli per i fratelli Morleo
Il processo contro i fratelli Cosimo ed Enrico Morleo, accusati di essere rispettivamente il mandante e l’esecutore materiale degli omicidi di Salvatore Cairo e Sergio Spada, è giunto alla stretta finale.
Martedì Milto De Nozza, il pm incaricato dalla Procura di Brindisi di sostenere la pubblica accusa nel processo ha ricostruito punto per punto, in una lunga requisitoria, gli elementi a sostegno dell’impianto accusatorio, e al termine dell’arringa ha pronunciato le richieste penali sulle quali la Corte d’Assise del tribunale brindisino, presieduta da Maurizio Saso, dovrà esprimersi: condanna all’ergastolo ad entrambi, con l’accusa di omicidio volontario aggravato da metodo mafioso, ed aggiunta di tre anni di isolamento in carcere a Cosimo, in qualità di mandante, e di uno ad Enrico, l’esecutore dei due delitti.
Partiamo dal movente dei due delitti: esso è da rintracciarsi nel fatto che sia Salvatore Cairo, 36 enne all’epoca della sua scomparsa nel maggio del 2000, sia Sergio Spada, che aveva 46 anni quando fu ucciso nel novembre del 2001, rappresentavano dei concorrenti per l’azienda di cui Cosimo Morleo era titolare, impegnata nel settore del commercio di articoli per la cucina, la Golden Star.
Nel caso di Cairo, egli era stato prima socio di Morleo, da questi in seguito accusato e allontanato per una supposta “incapacità”, infine minacciato, quando aveva manifestato la volontà di aprire la Indoor, una società direttamente concorrente. Fatto sta Salvatore Cairo sparisce nel nulla il 6 maggio del 2000, due giorni prima che Infront venisse inaugurata.
Il cadavere di Sergio Spada viene invece ritrovato all’interno di una stazione di servizio in disuso sulla superstrada Brindisi-Lecce il 19 novembre 2001. Egli era il più forte concorrente dell’azienda di proprietà di Cosimo Morleo.
Come si è arrivati all’imputazione a carico dei fratelli Morleo? Principalmente grazie alle rivelazioni fatte dal loro fratello Massimiliano, divenuto collaboratore di giustizia, ma i tasselli del quadro accusatorio prospettato da Massimiliano Morleo sono tutti andati ad incastrarsi perfettamente.
Oltre al discorso del movente economico, essi hanno trovato riscontro innanzitutto nel ritrovamento dei poveri resti di Salvatore Cairo in un pozzo posto nelle vicinanze dell’azienda di Cosimo Morleo. A condurre gli investigatori sul luogo, lo scorso gennaio, è stato lo stesso Enrico, il quale ha provato comunque a prendere le distanze dalle sue responsabilità nel seguente modo: egli avrebbe “solo” fatto a pezzi e provato a bruciare i resti di Cairo, prima di gettarli nel pozzo, ma l’avrebbe trovato già morto quando si era recato presso la proprietà del fratello. A suo dire, infatti, nessuno lo avrebbe ritenuto innocente se avesse denunciato il ritrovamento del corpo in quel luogo.
“E’ vero che feci a pezzo il corpo di Cairo, una cosa schifosa di cui mi vergogno. Spada nemmeno lo conoscevo. Non ho mai ucciso nessuno”. Queste le sue dichiarazioni spontanee l’altro giorno in videoconferenza dal carcere in cui è detenuto.
E invece Enrico Morleo è chiamato in causa anche nella ricostruzione del delitto di Sergio Spada, dalla moglie della vittima, la quale fornì un identikit dell’uomo che vide appostarsi nei pressi della sua abitazione la sera che il marito non fece ritorno a casa, prima di essere ritrovato ucciso. La moglie di Spada è stata poi in grado di associare, sia pure ad anni di distanza, il ricordo di quel volto con quello di Morleo.
C’è poi un’intercettazione fra Pino Morleo, il fratello più grande della famiglia, e la moglie, nella quale si ascolta quanto segue: “Cosimino lo ha detto a me che ha pagato Enrico per quel fatto”. E certamente, ha aggiunto il pm De Nozza per definire l’impianto accusatorio, alla base del mandato c’è una considerevole somma di denaro versata da Cosimo ad Enrico.
Il processo proseguirà l’8 ottobre con un’udienza riservata agli avvocati dei familiari delle vittime costituitesi parti civili, mentre il 26 novembre la parola passerà alla difesa.