Processo ex-ILVA: ora aleggia l’incubo della prescizione

Il giorno dopo la lettura nell’aula bunker del tribunale di Taranto della sentenza della Corte d’Assise d’appello in merito al processo “Ambiente Svenduto“, che ha decretato la ripartenza dello stesso da zero presso la sede di Potenza, i sentimenti prevalenti all’interno della popolazione tarantina e della società vivile sono quelli della rabbia, dello sconforto ma, ancora di più forse, della disillusione.
Al di là infatti dei proclami nel voler portare avanti la battaglia, in memoria delle vittime “collaterali” dell’industria siderurgica o in difesa dell’ambiente e del futuro della città, fra le righe dei commenti, soprattutto dei familiari delle vittime, si legge un senso di rassegnata e stanca accettazione rispetto a questa nuova, ulteriore avversità da affrontare.
Il processo era stato infatti, fin dall’inizio, definito “un morto che cammina”, proprio perché su di esso pendeva il ricorso per incompatibilità, da parte del collegio giudicante, a esprimersi su una materia sulla quale parte di esso era anche parte lesa. Dovendo ora lo stesso ripartire daccapo, ed essendo di fatto andato vanificato lo sforzo compiuto nei 10 anni precedenti per giungere alle 26 condanne penali comminate con la sentenza del 31 maggio 2021, il rischio concreto è che i reati perseguiti, e dei quali devono rispondere gli ex proprietari dell’industria e altre figure fra le quali spicca l’ex Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, possano andare in prescrizione.
E’ quanto si può leggere ad esempio nelle parole di Sabrina Corisi, una donna residente al quartiere Tamburi alla quale il siderurgico ha portato via, a causa di patologie tumorali connesse all’inquinamento, il padre ed il cognato. Intervistata dal Quotidiano, afferma: “Azzeramento significa ripartire da zero. Dieci anni di lavoro che sono valsi a nulla. Sarà una lunga attesa, forse di altri dieci anni, ma non riesco a vedere nulla di positivo. Una volta saremmo scesi in piazza, ora è più difficile reagire, ci hanno spezzato le ali. Però mi auguro che con quello che è accaduto oggi, i tarantini tornino a far sentire la propria voce, come abbiamo fatto in questi anni, pensando al mio papà, alle altre vittime. Non ci facciamo abbattere, noi la pensiamo allo stesso modo: quella fabbrica va chiusa, un’industria a due passi dalle persone è incompatibile con la vita”.
LA VOCE DELLE ASSOCIAZIONI E QUELLA DEL COMUNE DI TARANTO
PeaceLink, associazione molto attiva sulle questioni ambientali paventa come “lo spettro dell’impunità incombe”, Legambiente parla di “decisione sconvolgente. Occorrerà leggere le motivazioni della sentenza, ma la sostanza è che si ricomincerà tutto daccapo, che una buona parte dei reati è già prescritta, che altri andranno in prescrizione nel corso del nuovo processo. Legambiente si costituirà parte civile con i suoi legali anche nel nuovo processo a Potenza. Slai Cobas, che definisce la sentenza “un vero scandalo, una vergogna, una schiaffo alla memoria delle tantissime vittime dello stabilimento siderurgico”, pensa già ad un possibile ricorso, affiancato in questo dal Codacons, che in una nota fa sapere di voler presentare un esposto per “incompetenza contro i giudici che hanno emesso la sentenza”.
D’altronde è la stessa Amministrazione comunale della Città dei due Mari, per voce del sindaco Rinaldo Melucci, a non usare toni significativamente differenti, non nella sostanza quantomeno. “In qualità di sindaco e presidente della Provincia di Taranto, accolgo con profonda preoccupazione ed amarezza la decisione della Corte d’Assise d’Appello di trasmettere gli atti del maxiprocesso “Ambiente svenduto” al Tribunale di Potenza. Questo procedimento, che rappresenta una delle pagine più dolorose e significative della nostra storia recente, che deve essere considerato un simbolo della lotta della nostra comunità per la giustizia ambientale e la tutela della salute pubblica, torna interamente in discussione con il pericolo che la prescrizione possa cancellare buona parte dei reati.
“La sentenza di primo grado, che aveva visto la condanna di 26 imputati, fra imprenditori, politici e manager dell’Ilva per il disastro ambientale che sarebbe stato causato dalla produzione industriale dello stabilimento siderurgico, era stata un passo fondamentale verso il riconoscimento delle responsabilità e la riparazione dei danni subiti dalla nostra città. Una città che sta ancora faticosamente, ma con orgoglio, cercando di svincolarsi da una monocultura industriale che ha fatto il suo tempo. Una città che sta affrontando un processo di transizione ambientale ed economica che è divenuto ineludibile, ma che rischia di fare ancora i conti con un passato che ritorna”.
“Ribadisco il mio impegno e quello dell’amministrazione comunale nel continuare a lavorare affinché le famiglie e i cittadini di Taranto vedano tutelato il diritto a un ambiente sano e sicuro.”
Melucci, come è noto, non è favorevole ad una chiusura dell’impianto siderurgico di Taranto che del resto, a dispetto del decreto di sequestro emanato nel 2012, pur a ritmo ridotto, non ha mai smesso di funzionare. Da questo punto di vista, la sua posizione si discosta da quella delle associazioni ambientaliste o da tantissimi attivisti e cittadini di Taranto, in quanto egli ha da tempo preso posizione per un impianto che, con i dovuti investimenti, destinati a determinare i necessari aggiornamenti tecnologici, possa continuare a produrre acciaio senza inquinare. Il suo realismo è quello del governo, che non riesce nemmeno a immaginare quali potrebbero essere le risposte concrete da dare a migliaia di lavoratori dell’industria e del suo indotto.
Un presidio di protesta è stato convocato intanto a Taranto questa sera per le ore 18.30, in piazza Immacolata.