La Provinciale 80 e le dichiarazioni di Mattarella sul debito pubblico


Oltre a innumerevoli e irriferibili espressioni e imprecazioni, mentre percorrevamo una strada della provincia di Brindisi ci sono venute in mente le parole pronunciate la scorsa settimana dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il quale, intervenuto lo scorso venerdì al convegno che Confindustria tiene, ogni anno ai primi di settembre in quel di Cernobbio, ha toccato fra gli altri anche il tema del debito pubblico dell’Italia e del suo abbattimento, attualmente sopra al 140% nel rapporto col PIL.
Si tratta di un tema molto caro alla platea degli imprenditori alla quale egli si rivolgeva in quel momento e, più in generale, ai profeti delle privatizzazioni e dell’uscita dello Stato anche dai settori strategici dell’economia.
Il Presidente ha affermato: “L’Italia è un Paese debitore onorabile, ma abbattere il debito pubblico è un impegno ormai ineludibile”.
Il punto è questo: l’Italia è quel Paese nel quale è stata smantellata una rete ospedaliera capillare, finendo con il far strozzare gli ospedali rimasti attivi e mettendo quindi a rischio la salute della colletività, perché bisognava ridurre il debito pubblico. L’Italia è quel Paese che ha imposto le finanziarie lacrime e sangue, ai tempi dell’ingresso nell’Euro, perché bisognava ridurre il debito pubblico. L’Italia è quel Paese nel quale addirittura le agenzie di rating, quelle che valutano proprio la sostenibilità del debito pubblico, hanno di fatto imposto nel 2011 il disarcionamento di un governo eletto dal voto popolare (quale che sia il giudizio politico che si possa avere di esso) per imporre il governo tecnico guidato da Mario Monti, nato espressamente con l’obiettivo di abbattere la spesa pubblica.
L’Italia è quel Paese nel quale, fra le altre cose, si può facilmente incappare in strade provinciali come la n.80, che collega la Statale 7, la superstrada Brindisi-Taranto, con la strada provinciale Mesagne-Sandonaci, che andrebbero manutenute grazie ai trasferimenti dello Stato, e che invece sono ridotte in condizioni a dir poco vergognose, perché occorreva tagliare il debito pubblico.

Quasi dimenticata da Dio, questa strada scorre fra larghe estensioni di vigneto e di grano, ma soprattutto testimonia quanto impattante e distruttiva sia stato in questo territorio la diffusione del “fovoltaico selvaggio”.
A parte questo, il manto stradale si presenta ridotto a quello di un tratturo di campagna vero e proprio, con i fianchi che sono completamente smottati, voragini disseminate qua e là e asfalto ridotto in frammenti. Gli automobilisti debbono cercare una traiettoria che consenta loro di non perdere il controllo del mezzo, mentre se siete appassionati della bicicletta il consiglio è di evitare accuratamente di passare da queste parti.

La considerazione che facciamo è la seguente: come lo stesso Mattarella ha dovuto riconoscere a Cernobbio, l’Italia viene da un trentennio di avanzi primari, ciò significa che nelle casse dello Stato è entrato più denaro di quanto ne sia uscito. Bene. Ma allora, se tagliare la spesa pubblica in servizi e investimenti ha significato, oltre a inoppugnabili carenze e disagi ai cittadini, non un calo del debito pubblico ma il suo aumento, vogliamo riconoscere o no che è proprio la ricetta a essere sbagliata, che il debito pubblico (che peraltro non è un problema in Paesi che controllano la propria moneta, come il Giappone) potrebbe diminuire solo facendo crescere il PIL, e il PIL cresce solamente con una abbondante dose di investimenti pubblici volti ad assicurare, fra l’altro, la piena occupazione, oltre che servizi degni di questo nome alle persone, che le tasse hanno continuato a pagarle?
L’esempio in questione, oltre a essere una storia di ordinario degrado in un Paese che si gloria di essere fra i più industrializzati e sviluppati al mondo, dimostra quanto fallimentare sia la ricetta economica imposta dall’ortodossia liberista, strada sulla quale l’Italia si trova a causa del potere e dell’influenza di cui gode la finanza rispetto all’economia reale, la speculazione delle agenzie di rating rispetto ai diritti primari delle persone.