Puglia, le spiagge dei pugliesi o l’Europa dei burocrati?
Quando si tratta delle nostre coste, la Puglia non è solo una regione: è una cultura, un’economia, un modo di vivere.
È quel posto dove il mare incontra il lavoro di generazioni di famiglie che hanno trasformato una lingua di sabbia in una risorsa economica.
Ma adesso, con l’ennesima decisione partorita dai palazzi di Bruxelles e rigettata dai tribunali italiani, ci ritroviamo a dover scegliere: mantenere lo status quo o abbracciare la concorrenza sfrenata che rischia di cancellare anni di sacrifici?
La questione delle concessioni balneari sembra una di quelle storie all’italiana, dove il pasticcio normativo diventa regola e dove ogni governo, a turno, cerca di tirare avanti la baracca con proroghe, decreti e qualche colpo di mano.
E ora, dopo l’ennesimo altolà del Consiglio di Stato, la Puglia si trova davanti a un bivio cruciale.
Il nodo delle concessioni
Le nostre coste, dicono, sono un bene di tutti e per tutti.
Belle parole, che però si scontrano con una realtà molto più complessa.
Chi lavora nelle nostre spiagge sa bene quanto sia difficile mandare avanti un’impresa, con la burocrazia che ti soffoca e i costi che ti strangolano.
Ma per l’Europa, quelle concessioni che da anni ci permettono di vivere e far vivere il turismo locale devono essere messe a gara, come se fossero un qualunque appalto pubblico.
Certo, la concorrenza fa bene, dicono. Ma chi ci guadagna davvero?
I grandi gruppi multinazionali, quelli che possono permettersi di sborsare cifre che un imprenditore pugliese non vedrà nemmeno in cento vite.
E così, la spiaggia diventerà un altro luogo del “prendo e porto via”, con il risultato che i proventi del nostro mare finiranno nei conti correnti di qualche CEO dall’altra parte del mondo.
Il rischio per il turismo locale
Parliamoci chiaro: senza il lavoro delle nostre imprese balneari, il turismo in Puglia non sarebbe quello che conosciamo oggi.
La gestione delle spiagge non è solo una questione di lettini e ombrelloni, è un equilibrio delicato tra economia e territorio, tra sostenibilità e sviluppo.
E in questo equilibrio, le imprese locali svolgono un ruolo insostituibile.
Il rischio è che, con l’introduzione di gare pubbliche aperte a chiunque, si spezzi questa catena che tiene insieme il tessuto economico e sociale della nostra regione.
Le concessioni balneari non sono solo un diritto, ma un dovere: quello di garantire che il turismo in Puglia resti un motore di crescita per tutti, e non solo per pochi eletti.
Le vie da percorrere
Allora, cosa possiamo fare per evitare che la Puglia diventi l’ennesimo esperimento fallito di una politica disconnessa dalle realtà locali?
Serve una strategia che metta al centro gli interessi dei pugliesi, che sappia coniugare le esigenze di Bruxelles con quelle del nostro territorio.
Primo: le gare si faranno, ma con criteri che diano priorità a chi ha già dimostrato di saper gestire le nostre spiagge.
Chi è stato un custode del territorio per anni deve avere un vantaggio competitivo rispetto al primo arrivato.
Secondo: incentiviamo le realtà locali a migliorarsi, investendo in qualità e sostenibilità.
Non si tratta solo di difendere lo status quo, ma di spingere verso un modello di turismo che sia al passo con i tempi, senza perdere la nostra identità.
Infine, non possiamo ignorare che le spiagge libere devono essere tutelate e valorizzate.
Ma questo non significa escludere chi, con il proprio lavoro, ha fatto delle nostre coste un simbolo di accoglienza e ospitalità.
In definitiva, la sfida è riuscire a dire all’Europa che sì, siamo pronti a rispettare le regole, ma senza che queste distruggano quello che abbiamo costruito con fatica.
Perché la Puglia non è solo una regione da cartolina: è la casa di chi ogni giorno vive e lavora, e che non può essere messa all’asta al miglior offerente.