Il Processo Mediatico tra show business e investigazioni giornalistiche come mezzo di indagine e di prova. Caso Raffaele Sollecito

Il Processo Mediatico tra show business e investigazioni giornalistiche come mezzo di indagine e di prova. Caso Raffaele Sollecito Il Comune di Mola di Bari, in collaborazione con il Rotary Club Bari Alto “Terra dei Peuceti”, SSML Bona Sforza di Bari, Ikos–Istituto di Comunicazione Olistica Sociale e con il Patrocinio dell’Ordine degli avvocati di Bari, ha organizzato il Convegno dal titolo “Il Processo Mediatico tra show business e investigazioni giornalistiche come mezzo di indagine e di prova”, presso Palazzo Roberti mercoledì 3 luglio 2024.
Il Programma dell’iniziativa ha previsto i saluti del Sindaco della Città Giuseppe Colonna, dell’Avvocato penalista Antonio La Scala, Nicola Leone–Comandante della Polizia Locale, della Dott.ssa Daniela Poggiolini–Psicologa e Presidente Ikos, del Criminologo e psicologo Sergio Caruso, del Prof. A. Rosario Polizzi-Presidente CTS Ikos, Loredala Liso–Presidente Rotary Bari Alto, Cristina Bonaglia–Direttrice SSML Bona Sforza, dello psicologo Dott. Marco Magliozzi e del moderatore Vito Giordano – giornalista e Segretario provinciale Sap Bat con la testimonianza di Raffaele Sollecito.

Nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 2007, nella villetta di via della Pergola 7, a Perugia, viene ritrovato il corpo martoriato e senza vita di Meredith Kercher, 21 anni, giovane studentessa, originaria di Southwark nel Regno Unito, partecipante al progetto Erasmus nell’Università per Stranieri del capoluogo umbro.
Nel mirino degli investigatori finiscono la coinquilina statunitense Amanda Knox, di Seattle, e il fidanzato Raffaele Sollecito, pugliese nato e cresciuto a Giovinazzo in provincia di Bari, laureando in ingegneria informatica.
A pochi giorni dall’apertura del caso in tribunale e successivamente all’arresto dei due fidanzati, viene chiamato in causa anche Rudy Guede , reo di violenza sessuale.
I tre vengono accusati di concorso in omicidio e condannati, in primo grado, rispettivamente a 26, 25 e 30 anni di detenzione. Ma mentre per la Knox e Sollecito, al termine del processo bis, giungerà l’assoluzione definitiva della Corte Suprema di Cassazione in esplicazione del principio dell’oltre il ragionevole dubbio, Guede resterà in carcere con pena ridotta a 16 anni per concorso in omicidio con ignoti.
Un delitto diventato caso mediatico.

- Prof Caruso perché la banalità del male, titolo ossimorico, e il piacere che ne deriva dal dolore della vittima, decisivo per attribuirgli l’epiteto di carnefice e l’essere malvagio piace così tanto?
L’attenzione collettiva nei confronti del processi più clamorosi non è un fatto nuovo, nasce nel 2011 con il delitto di Cogne, uno dei casi più eclatanti e discussi, dato in pasto alla stampa senza che nessuno abbia mai letto le ”c.d carte”.
Il processo mediatico nasce nei grandi delitti, quelli che hanno sempre avuto un risvolto di spettacolarizzazione con una impropria sovrapposizione di piani, quello dell’informazione e della giustizia, con molte distorsioni e gravissime ricadute consequenziali, che hanno alimentato effetti perversi e criticità: dallo stravolgimento di categorie e funzioni del processo penale, alla distorsione dei rapporti tra fonti giudiziarie e giornalisti, passando per l’inevitabile condizionamento dei soggetti coinvolti, esposti al clamore e all’impazienza con cui gli organi di informazione raccolgono notizie alla ricerca di un colpevole costi quel che costi.
Un dramma diffuso della mia professione di criminologo, in quanto attraverso lo show business che entra nelle nostre case, i soggetti si immedesimano. Si crea una sorta di processo di identificazione: Io posso. Rammentiamo che le sentenze passano ma la condanna resta per tutta la vita.

- Dott. Sollecito la giustizia penale è diventata spettacolo. L’esigenza di informazione a seguito delle note vicende giudiziarie di enorme diffusione, dev’essere sempre rapportata alla gravità ed importanza del processo e al rispetto della presunzione di non colpevolezza. Quanto la libertà di stampa l’ha penalizzato con una condanna preventiva?
L’informazione è oramai un prodotto di consumo, piegato alle logiche del mercato, per cui la selezione delle notizie viene spesso plasmata sugli interessi contingenti dei fruitori, o sulle loro aspettative di gradimento; inoltre, le potenzialità dei nuovi strumenti mediatici sono capaci di generare un impatto senza precedenti, con una diffusione capillare delle notizie che non è controllabile a priori, né a posteriori, e le cui distorsioni sono difficili da neutralizzare.
Le degenerazioni mediatiche sono accentuate dalla particolare incidenza su ambiti delicatissimi per la sfera dei diritti personali e della dignità delle persone coinvolte. Posso dire solamente che la mia vita è finita in un tritacarne. Il risultato di atteggiamenti sviluppatisi tra i giornalisti e anche tra i magistrati, persino tra gli avvocati. Ciascuna di queste componenti finisce in alcuni casi per deformare la propria missione. Fermate il processo mediatico o si ucciderà la dignità delle persone Innocenti.
- Avv. La Scala l’inosservanza del segreto investigativo e l’indebita diffusione di notizie, ha generato un cortocircuito suscettibile di alimentare convincimenti nell’opinione pubblica disancorati dalla realtà processuale. La sovraesposizione mediatica ha condizionato l’attività di ricerca della prova generando ripercussioni sulla qualificazione giuridica del fatto che il Pm attribuisce al reato da contestare?
Una volta capito il contesto in cui la tragedia si è consumata, i giornalisti avrebbero dovuto fermarsi e lasciare lavorare gli inquirenti.
Invece così non è stato e tutti i giorni opinionisti, giornalisti, conduttori, psicologi e criminologi hanno passato i pomeriggi negli studi televisivi per manifestare le proprie idee. Sembra che ormai i processi debbano avvenire in TV e che il lavoro degli inquirenti con i relativi fascicoli redatti non serva a niente!
Credo che l’esigenza d’informazione deve essere rapportata alla gravità ed importanza del processo sotto il profilo oggettivo ed alla “appetibilità” dei personaggi coinvolti sotto il profilo soggettivo, in quanto la pubblicità delle questioni che riguardano gli uomini politici o dello spettacolo, è uno strumento per rendere effettiva la responsabilità politica, ma non per le persone comuni.
Il Dott. Sollecito è stato assolto dalla Suprema Corte di Cassazione ma disastrosamente penalizzato dalla pubblicazione del suo nome sulla scorta di una informazione ideata quale strumento di garanzia, e sovente per converso, emessa a detrimento non solo della figura morale, ma finanche incidendo sulla posizione difensiva.
La sua famiglia ha appreso di quello che gli stava accadendo dalla stampa. La inammissibilità di tutto quello che gli stava accadendo , dovrebbe costituire il normato ostacolo onde limitare il consenso di chi dilata la notizie ghiotte delle disgrazie altrui.

- Dott. Sollecito il problema è tecnico?
Il problema non è solo tecnico, infatti, quando si diffondono informazioni di garanzia che vengono apprese dal beneficiario o dalla sua famiglia, anche per il tramite dei media, sono le stesse credibilità e stabilità democratiche a vacillare insieme alla giustizia.
Non si può permettere o lasciare spazi a qualsiasi tipo di abuso, osannando una collettività entusiasta delle continue decapitazioni mediatiche degli indagati di turno, privandoci di un bene prezioso ed irrinunciabile in un paese civile ossia del processo penale, unico baluardo di libertà, di garanzia della certezza del diritto e presupposto della fiducia nella giustizia.
Sono un ragazzo di buona famiglia ritrovato mio malgrado etichettato come “mostro” ma tutto ciò non corrisponde alla realtà.
- Prof. Sergio Caruso l’art. 5 TU sui doveri del giornalista recita: “Il giornalista si attiene a un linguaggio rispettoso, corretto e consapevole. Si attiene all’essenzialità della notizia e alla continenza. Presta attenzione a non alimentare la spettacolarizzazione della violenza. Non usa espressioni, termini e immagini che sminuiscano la gravità del fatto commesso; valutato l’interesse pubblico alla notizia, una narrazione rispettosa anche dei familiari delle persone coinvolte. Quante volte i limiti del lecito sono stati superati?
Sempre. Io non sono contro il giornalismo bensì contro il “giornalettismo”. Il giornalismo bisogna solo dirlo e scriverlo, non anticipare giudizi, analisi che prevedono analisi scientifiche. Sovente l’opinione pubblica viene attratta, come asseriva il Prof. Bruno, dalla pseudo normalità, una caccia al mostro che va ad esorcizzare quel mostro che è in ognuno di noi.
Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti, non tutti hanno tuttavia consapevolezza che la “pubblicità mediata” della giustizia è “uno specchio che riflette un’immagine molto parziale e spesso distorta della realtà, anzi, è uno specchio che talvolta modifica la realtà che riflette, poiché i media costruiscono uno scenario alternativo a quello legale e costringono l’opinione pubblica a leggere le vicende giudiziarie in una luce innaturale e falsa, in balia del “palcoscenico catodico di verità di pronto consumo”.
La replicazione anticipata e mediatizzata del processo ha compromesso onore, reputazione, vita privata, familiare, lavorativa e, al fondo, dignità della persona, allo stesso tempo, la stessa equità del processo e della pena. Una misura rimediale dovrebbe essere assicurata non solo all’imputato poi riconosciuto innocente, ma essere garantita anche nei confronti di un indiziato o imputato che, in costanza di processo, era solo potenzialmente tale, e che dunque ha subito un pregiudizio avente ad oggetto un diritto solo successivamente “consumato” dalla sentenza di condanna.
- Dott. Sollecito è giusto secondo lei che la Giustizia italiana debba offrire un rimedio compensatorio per l’eccessiva spettacolarizzazione delle vicende processuali?
Il punto cruciale che siano imputati o indagati, tanto per l’innocente che per il reo, a mio avviso, l’aver patito una spettacolarizzazione della vicenda processuale lesiva del diritto al rispetto della vita privata, e la duplicazione della sofferenza legale connessa al processo in ragione del “giudizio parallelo” di fatto celebrato dai media con tutte le ulteriori storture e curvature illiberali che questo comporta, di un giudizio non necessitato dalle esigenze di accertamento processuale e/o di difesa sociale, meriti un rimedio compensatorio. I giudici mi hanno negato il risarcimento per ingiusta detenzione, mi è stato negato anche per tutti gli errori commessi durante le indagini.
- Avv. Antonio La Scala nel sistema italiano la situazione appare acutizzata da una debole tenuta del segreto “interno” o “esterno”, e da tutele parallele altrettanto ineffettive, le cui cause sono tanto composite quanto radicate. A fronte di una disciplina legislativa incerta e per gran parte irragionevole, quante sono le sentenze di condanna per i reati art. 326 e art 684 c.p?
Pochissime sentenze di condanna a fronte degli obblighi di segretezza in fase di indagini o divieti di pubblicazione, lasciando dunque trasparire un’area di liceità di fatto, non solo in sede penale, sia con riferimento alle violazioni del segreto istruttorio, sia con riferimento alla pubblicazione di notizie concernenti i procedimenti penali e alla loro spettacolarizzazione nei “giudizi paralleli” del circo mediatico giudiziario.
Una sana democrazia deve metodologicamente garantire la libera esplicazione di tutte le opinioni, non solo quelli degli organi inquirenti ed accusanti, educando così il lettore a comprendere il vero significato dell’indagine, senza costringere l’indagato a subire una ingiusta, preventiva e frettolosa condanna popolare definitiva ed irrevocabile.
- Dott.ssa Daniela Poggiolini in un sistema nel quale è l’audience a farla da padrona, quale valore deve considerarsi prevalente: il diritto alla riservatezza supportata dalla necessità investigativa della segretezza processuale o la libertà di stampa?
La situazione di forte criticità e profondo disequilibrio è determinata anzitutto, dalla difficoltà di bilanciare esigenze divergenti ed in massima parte antinomiche. Da un lato il fascio di tutele connesse all’informazione giudiziaria, art. 21 Cost. e art. 10 CEDU, art. 11 Carta dei diritti fondamentali UE, dall’altro la ghiera dei diritti “primordiali”, ossia il diritto di ciascuno all’onore e alla reputazione, alla riservatezza, alla “vita privata”, ma anche l’equo processo nelle sue declinazioni, la presunzione di innocenza, e la dignità propria di ogni essere umano. Quello che è il giudizio mediatico nonostante la dichiarazione d’innocenza, rimane nel tempo un marchio a fuoco. La divulgazione è importante ma il voler fare notizia a tutti i costi, non va bene, cade l’etica del professionista.
La giustizia penale dovrebbe modificare radicalmente la propria “politica di informazione” nei confronti dei media, secondo una direttrice di maggior organizzazione, professionalizzazione, trasparenza, e di più stringente rispetto delle norme vigenti, dando appunto priorità assoluta ai diritti fondamentali, senza abbandonare l’imputato o l’indagato alla premura deontologica, al maggior o minor rigore, alla volubile sobrietà o sensibilità individuale del singolo magistrato o giornalista.
Si potrà parlare di ritorno alla civiltà ed alla legalità solo nel momento in cui l’opinione pubblica saprà riconoscere e la giustizia saprà punire gli abusi. Deve esserci un bilanciamento dei valori costituzionali in gioco.
- Dott.ssa Poggiolini possibile che non esista un modo per impedire questi interminabili processi mediatici e per far capire che ognuno deve fare il proprio mestiere? Quale potrebbe essere la soluzione?
L’esigenza di una tutela più incisiva della reputazione, quale risvolto della dignità della persona al fine di rinforzare l’apparato normativo a garanzia della presunzione di non colpevolezza, dev’essere tutelato. Bisognerebbe restare fuori da ogni giudizio perché passare dalla realtà alla finzione e dalla finzione alla realtà, il passo è breve. Le parole sono pietre, a volte uccidono, a volte curano. Usiamole per curare!
- Dott. Sollecito quali sono le difficoltà che ha incontrato nella quotidianità dopo l’assoluzione?
Molte sono le difficoltà quotidiane e relazionali che, ahimè non riesco a superare. Il danno purtroppo si contestualizza in un danno permanente. Le faccio un esempio: tempo fa ero a Corso Como con degli amici, vedo una ragazza carina, le dico ciao. Lei mi riconosce, e scoppia a piangere. I suoi amici mi circondano, io spiego di aver detto semplicemente ciao. Quando ci chiariamo, qualcuno mi dice che devo capire, non tutti pensano che io sia innocente, e possono avere paura.
Devo ricominciare da zero ogni giorno. Dimostrare ogni giorno chi sono. Quando fui assolto erano tutti felici tranne me, ero triste.
In realtà temevo la mia vita dopo l’assoluzione definitiva, l’idea di affrontare il mondo fuori e la paura costante che mi assale: Come faccio a far vedere che sono diverso da quello che hanno raccontato?
