Class action presentata dall’associazione “Genitori Tarantini”: il 25 giugno la sentenza della Corte di Giustizia dell’UE sull’ex ILVA

Il prossimo 25 giugno la Corte di Giustizia dell’Unione Europea esprimerà il proprio verdetto in merito alla richiesta di inibitoria presentata da undici cittadini tarantini contro il gruppo dell’ex ILVA di Taranto, costituito attualmente da Acciaierie d’Italia spa, Acciaierie d’Italia Holding spa e Ilva in as.
Gli attivisti della “Città dei due mari”, riuniti nell’associazione “Genitori Tarantini” e supportati dai propri legali, avevano infatti presentato nel 2021, presso il Tribunale di Milano, città nella quale Acciaierie d’Italia ha la propria sede legale, lo strumento della class action inibitoria, col quale si chiedeva la cessazione delle attività dell’area a caldo del siderurgico fino a che esse non diventassero conformi alla direttive stabilita dall’AIA (l’autorizzazione di impatto ambientale), la chiusura delle cokerie e la predisposizione di un piano industriale che preveda l’abbattimento delle emissioni inquinanti pari ad una quota di almeno il 50%.
I giudici del Tribunale di Milano, dopo aver valutato la richiesta, avevano statuito che il tribunale deputato ad esprimersi sulla materia fosse la suprema Corte europea, al fine di valutare se, nell’attività dell’impianto siderurgico tarantino siano rinvenibili violazioni del diritto comunitario in materia di emissioni nocive ad opera di un sito industriale.
Si è allora aperta un’istruttoria presso la Corte di Giustizia europea, con le prime udienze tenutesi alla fine dello scorso anno alla presenza delle parti legali: gli avvocati Ascanio Amenduni e Maurizio Rizzo Striano, in rappresentanza dell’associazione “Genitori Tarantini”, quelli della Regione Puglia, costituitasi ad adiuvandum, l’avvocato generale dello Stato e, naturalmente, i legali di Acciaierie d’Italia.
Significativo risulta l’intervento depositato dall’avvocato della Commissione europea nell’udienza del 14 dicembre, Juliane Kokott, allorquando ha sostenuto che, in base alle normative dell’UE, “un impianto industriale non può essere autorizzato se causa eccessivi danni alla salute e, solo in particolari casi, è possibile un differimento delle misure per la riduzione dell’impatto”.
L’esordio dei danni arrecati dal siderurgico tarantino all’ambiente risalgono ad un periodo antecedente rispetto all’entrata in vigore della normativa sopra citata, ma è indubbio come essi non possano essere sanati solo appellandosi al criterio della non retroattività. Gli strumenti a tutela della salute collettiva prospettati dalla class action vanno resi assolutamente cogenti se si vuole cercare la strada di una possibile convivenza futura fra la produzione di acciaio, la tutela della salute collettiva, tanto duramente offesa nei passati decenni, e la sostenibilità ambientale.
Le centinaia di sottoscrittori della class action, ma anche i più disillusi cittadini di Taranto, attendono con ansia questo pronunciamento.