UN FESTIVAL PER RODOLFO CELLETTI
II Festival della Valle d’itria – dedica la sua 43 edizione alla memoria di Rodolfo Celletti nel centenario della nascita. Allo storico direttore artistico della rassegna si deve l’intuizione su cui si basano, ancora oggi, le scelte culturali e artistiche di un festival fedelmente impegnato in percorsi di ricerca e di approfondimento sul Belcanto italiano.
Con questo spirito il cartellone 2017 intende dipanare il filo rosso che percorre il teatro musicale di tutti i tempi nel segno della tradizione belcantistica italiana, che Celletti faceva risalire al recitar cantando monteverdiano e che prolunga la fioritura dei propri rami fino a tutto il primo quarto del XIX secolo, per inoltrarsi poi su sentieri anche molto divergenti tra loro e dallo spirito delle origini del melodramma. Ambiti diversi e lontani hanno però continuato a testimoniare la straordinaria fecondità dell’invenzione originaria: quel matrimonio alchemico che nella lingua italiana trovò – e non smette di farlo – il crogiolo d’elezione. Quattro secoli di teatro musicale italiano si snodano lungo il cartellone di questa 43′ edizione: da Monteverdi a Puccini, passando per Vivaldi, Piccinni, Meyerbeer e Verdi. Vale la pena annotare, le date di composizione delle opere ospitate in cartellone: 1608, 1727, 1763, 1820, 1840, 1918.
La serie è di per sé eloquente e parla di secoli lontani, e di epoche, stili, modi e poetiche molto diverse tra loro: le opere e i compositori qui richiamati recano però, ciascuno a suo modo e ricorrendo alle risorse che la storia ha via via loro concesso, il suggello di una stessa gloriosa – e riconoscibilissima – civiltà musicale.
Ogni volta che intelligenza e sensibilità di un interprete – non solo cantante, ma anche direttore e regista – sono in grado di infondere linfa vitale al rapporto tra parola e musica (atto puramente creativo, che pesca nell’intero repertorio tecnico, stilistico ed espressivo, risorse che solo una compiuta consapevolezza della cultura melodrammatica può mettere a disposizione) si alimenta lo stupefacente atanor del recitar cantando: si libera l’intero potenziale espressivo riposto nelle profondità del testo drammatico-musicale; il canto prende a fiorire sul respiro, nel modo più naturale e quasi infantile, come puro ri-generarsi di nuova vita, che si sprigiona autonomamente, slegata da qualunque vincolo materico e fisico con quella reale: non c’è più nulla di concreto, e tutto sembra sciogliersi, a partire dalla stessa legge di gravità.
In quella dimensione nuova, limpida e smeterializzata, tutto – persino l’ineffabile, l’inverosimile o il puro astratto – diviene possibile e trova la sua espressione compiuta e la sua propria essenza: è questo il modo belcantistico di interpretare il teatro musicale. Tutto ciò è particolarmente evidente nel cinto richiesto dal repertorio cosiddetto “barocco”, al quale il festival dedica ogni anno, e nelle ultime edizioni con impegno programmatico particolarmente evidente, una particolare attenzione.