Momenti di grande tensione fra tifosi del Lecce e della Nocerina ieri in autostrada

Il volto più stupido che può assumere il tifo per una squadra di calcio sono gli scontri tra tifoserie, dentro e fuori dagli stadi. La rivalità, fra squadre non militanti neppure nella stessa categoria, ha portato ieri a momenti di forte tensione nell’autogrill posto nella stazione di “Teano ovest” (proprio nella località in cui Garibaldi incontrò Vittorio Emanuele II, consegnandogli di fatto la conquista dei territori del sud Italia, non diciamo “liberazione” perché su questo il giudizio degli storici è diversificato) fra tifosi del Lecce, di ritorno dalla trasferta a Frosinone, e quelli della Nocerina, militante in serie D.
Anche durante la mattinata, nel tragitto di andata per i tifosi del Lecce, vi erano state scaramucce, che hanno poi spiegato l’attacco vero e proprio del dopo partita, con lancio in autostrada anche di bombe carta. Solo grazie alla presenza delle forze dell’ordine la situazione non è degenerata in atti di violenza vera e propria.
Vecchi rancori, magari legati a passate sfide di campionati trascorsi, oppure a diverse appartenenze politiche (molti tifoserie sono politicizzate) oppure la voglia semplicemente di provocare o di far valere qualche astratta legge territoriale, porta il tifo a trascendere violentemente dalle sue coordinate più nobili in quelle della lotta fra clan avversari.
Eppure non dovrebbe essere diverso distinguere fra la passione per i colori della propria squadra, anche accesa, anche portata al simpatico sberleffo per i colori di un’altra società, alla goliardata fine a se stessa insomma, e la violenza fisica. Dopotutto, se si tiene ad una società sportiva, di qualsivoglia sport, è comprensibile patire delusioni vere e proprie a seguito di un risultato sfavorevole, perché lo sport sa accendere di passione e partecipazione emotiva come poche altre attività umane, attivando nella psiche delle persone qualche retaggio ancestrale, che ha a che fare con l’appartenenza all’esperienza totalizzante della famiglia e dell’onore col quale difenderla.
Quindi è spiegabile la delusione, non l’odio per i colori di un’altra realtà sportiva, anche laddove essa abbia avuto il sopravvento sul campo da gioco. Nel caso dell’episodio di ieri, non vi è pure lo scontro diretto, ma solo l’imbecillità del sentirsi, invece che accomunati dalla passione per lo stesso prodotto sociale, lo sport, e il calcio nel fatto specifico, ritrovando semmai nell’impegno col qualche i sostenitori di colori sociali diversi dai nostri seguono la loro squadra un motivo di ammirazione e di scambio “fraterno”.
Con questo non intendiamo certamente accreditare quell’ondata “calcisticamente corretta” volta a vietare da tempo, negli stadi, l’uso dei fumogeni, espressione del tifo più genuino e schietto, e tesa in generale a rendere la dimensione dello stadio un’esperienza asettica, priva di colore, simile a quella di una rappresentazione teatrale. Gli stadi ed i teatri sono infatti luoghi diversi, ideati per ospitare spettacoli completamente diversi. Gli stadi sono la realtà più simile alle arene dei gladiatori di una volta, ma gli stadi sono stracolmi anche in occasione delle partite internazionali di rugby, dove non esiste la minima problematica legata alla coesistenza di tifoserie rivali, dove la passione non trascende mai nel tifo becero.