Fondazione GIMBE ora beatifica le cure domiciliari, ma ai tempi del Covid…

La fondazione GIMBE (sigla che sta per Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze) il cui presidente Nino Cartebellotta imperversava ai tempi del Covid su tutte le reti televisive, ha pubblicato i dati del monitoraggio relativo alle cure domiciliari integrate garantite alla popolazione pugliese con più di 65 anni. Secondo gli obiettivi fissati dal PNRR, dovrebbe essere garantita la copertura dell’assistenza domiciliare ad almeno il 10% di questo target della popolazione, che in Puglia corrisponde al 19% della popolazione complessiva, corrispondenti a 770 mila persone su quasi 4 milioni di abitanti. Per raggiungere l’obiettivo entro il 2026, la Regione dovrebbe, a detta del monitoraggio, incrementare del 329% la quota di ultrasessanticinquenni assistiti attualmente.
Questa regione al momento è quartultima in Italia nella speciale graduatoria, dopo la provincia autonoma di Bolzano, la Valle d’Aosta e la Calabria.
A determinare la posizione della Puglia il numero esiguo di personale a disposizione delle ASL, con 4,61 infermieri ogni mille abitanti, mentre la media nazionale pari a 5,06 infermieri ogni mille abitanti.
I vantaggi di seguire un paziente a casa, tutte le volte che si può, sono tantissimi, anche se ci lascia perplessi il fatto di considerare anziano e potenziale utente dell’ADI, l’assistenza domiciliare integrata, tutta la popolazione che abbia compiuto 65 anni, un’età nella quale tanti individui sono non solo in ottima salute ma anche del tutto autonomi.
Essere curati a casa vuol dire non esporsi al rischio di pericolose infezioni ospedaliere, avere i propri familiari e l’ambiente domestico come supporto continuo, lasciare i posti letto ospedalieri ai casi più gravi. Tuttavia noi non ci siamo dimenticati quanto l’assistenza domiciliare sia stata un fallimento, quando non apertamente ostracizzata, ai tempi del Covid19: ricordiamo come i protocolli emanati dal ministero sconsigliassero vivamente di andare a visitare i malati a casa. C’è di più: in quei protocolli, in particolare nella circolare AIFA del 26 aprile 2021 sulla “gestione domiciliare del paziente”, come evidenziato da una sentenza di riforma del Tar del Lazio del 15 gennaio 2022, si vincolavano i medici alla somministrazione di paracetamolo e a consigliare la “vigile attesa”: tale protocollo di non- cura era in realtà quanto di più disastroso si potesse consigliare, vista la specificità della malattia da Covid19, che invece va subito aggredita con farmaci adeguati, a partire dagli anti infiammatori, non dal paracetamolo.
Che è poi quello che hanno fatto i tanti medici-eroi, che si recavano a casa delle persone bisognose di cura, assistendole amorevolmente e onorando, loro sì, il proprio codice deontologico. Aver abbandonato a casa i pazienti significò, in quei due anni, far degenerare la situazione sanitaria nazionale, con l’intasamento dei reparti ordinari e delle terapie intensive da parte di pazienti non trattati adeguatamente, quando non proprio abbandonati nelle prime fasi della malattia, quando essa è invece è suscettibile quasi sempre di evoluzione positiva, senza il ricorso al ricovero ospedaliero.
Chi ora si ricorda della bontà dell’assistenza domiciliare e dei suoi vantaggi, dovrebbe quindi prima coprirsi il capo di ceneri e farsi un grosso esame di coscienza. E non ci riferiamo solo alla Fondazione di cui sopra.