Aumentano i medici italiani desiderosi di abbandonare l’Italia.
Un tema al centro del dibattito nazionale è da tempo la carenza di personale medico, specialmente in alcune specializzazioni. Si attribuisce spesso questa penuria all’errato meccanismo d’ingresso alle facoltà di medicina, i famigerati test di medicina contenenti domande bizzarre, motivo per il quale si chiede a più voci l’abolizione dei test (ne parliamo in un altro articolo pubblicato oggi su Puglia Press) e quindi del numero chiuso o una riforma dello stesso, adottando il sistema francese, il quale prevede che sia il primo anno di studi a fare da selezione fra gli studenti in grado di proseguire il corso e quelli che dovranno riprovarci.
Si parla poi, come problematiche in fondo legate alla causa primaria, dei turni massacranti ai quali i medici sono sottoposti, specialmente nei pronti soccorso (e quello di Brindisi è un caso spesso salito, purtroppo, agli onori delle cronache quotidiane per queste ragioni) e dei rischi che comporta questo sulla qualità del servizio erogato in un settore tanto delicato, al rischio di aggressioni al quale va incontro il personale sanitario, alla necessità di richiamare in servizio i medici pensionati o, al contrario, di mettere in corsia studenti che non sono ancora specializzati (le famose due facce delle stessa medaglia) o ancora alla fuga verso gli strutture ospedaliere private o del privato convenzionato, che sottopongono a minore stress operativo rispetto alla trincea dell’ospedale pubblico, che al contrario è martoriato da anni di tagli e ristrettezze economiche.
Queste tematiche trovano ora conferma dalla pubblicazione degli ultimi dati forniti dall’Associazione medici di origine straniera in Italia (AMSI) e dall’Unione Medica Euro Mediterranea (UNEM); sarebbero infatti 6 mila le richieste di lavoro da parte dei professionisti della sanità decisi a lasciare l’Italia. E a conferma di quanto prima osservato, l’85% delle richieste verrebbe da medici impiegati nel settore pubblico. Secondo Foad Aodi, presidente tanto dell’AMSI quanto dell’UNEM, i medici italiani sarebbero attratti in particolare dai paesi arabi, assai munifici, come è facile immaginare, nel retribuire il personale medico, e dove gli investimenti in sanità, uguali al 10% del PIL, garantirebbero una qualità degli investimenti in apparecchiature ed infrastrutture immaginabile in Italia. Ci pare, questa, la scoperta dell’acqua calda. Perché mai un Paese, che per di più rientrerebbe fra quelli industrializzati, non possa investire in sanità tutto quello che c’è da investire per renderla sicura per i pazienti e attrattiva per gli operatori sanitari, è un mistero al quale non troviamo risposta.
I dati scorporati per ragione di provenienza dei medici richiedenti “asilo politico” all’estero sono per lo più proporzionali con la popolazione residente, vedono la Lombardia al primo posto, con più di 600 richieste. Fa eccezione il dato della Calabria, che colleziona le stesse richieste, 450, di una regione come L’Emilia Romagna che ha il doppio dei suoi abitanti, e poche meno di regioni molto più popolose come Lazio e Campania, o più della stessa Puglia, a conferma delle difficoltà in cui si dibatte questa terra tanto bella paesaggisticamente.
Da rilevare, tuttavia, come siano aumentanti anche i medici stranieri in Italia, a partire dal governo Conte II, che prese la decisione di accoglierne un numero maggiore anche per venire incontro alle carenze annose del personale medico nazionale. Dal 2020 ad oggi essi sono aumentati di un quarto, passando da 75 mila a 100 mila unità. Tuttavia Aodi, con le associazione che presiede, è promotore di un’iniziativa volta a contenere il più possibile la perdita del personale medico nazionale, denominata “Aiutarli a casa loro in Italia”, alla quale hanno aderito già 130 fra associazioni e sindacati del comparto sanitario.
La fuga dall’Italia, il suo impoverimento complessivo di risorse umane, assieme alla drammatica denatalità, cominciano a preoccupare seriamente anche gli stranieri, anche quelli meno celebri di Elon Musk.