Paziente con emorragia cerebrale trasportato da Brindisi a Taranto per mancanza di radiologo interventista

Un quarantenne giunto presso l’ospedale Perrino di Brindisi, nella notte fra venerdì e sabato, per un aneurisma cerebrale, ha atteso tre ore prima di essere trasferito a Taranto, non disponendo il più importante nosocomio provinciale, nel suo organico, di un radiologo interventista, lo specialista che i sanitari hanno evidentemente valutato servisse nella specifica situazione al paziente, le cui condizioni nel frattempo si erano aggravate. Solo quando è stato individuato un posto letto in uno degli ospedali delle province vicine, è stato possibile effettuare il trasferimento.
La radiologia interventistica, detta anche “per immagini”, è una sotto-branca della radiologia che si caratterizza, in genere, per la minore invasività dei suoi interventi, e può essere utilizzata in vari ambiti della medicina.
L’ospedale di riferimento della provincia va in affanno quotidianamente, il suo pronto soccorso vanta il primato nella triste classifica di quelli più sovraffollati d’Italia, non perché i medici che vi lavorano non siano competenti o siano dei lavativi, ma perché negli ultimi 20 anni la sanità pugliese, ed in special modo brindisina, è stata sottoposta ad una cura di cavallo che ha portato alla chiusura di tantissime strutture. Fa specie riflettere come la cura da cavallo imposto alla sanità brindisina abbia più che dimezzato il numero di ospedali: da otto a tre. Questo determina un rapporto fra posti letto per mille residenti del valore di 2,7, contro i 3,7 di media del resto della Puglia (la media nazionale è 4)
Nel novembre del 2022, accadeva che un medico del pronto soccorso fu costretto, per mettersi al riparo da ogni eventuale responsabilità, a rivolgersi ai carabinieri per denunciare pubblicamente come, a fronte di oltre trenta pazienti in quel momento in attesa di essere presi in carico, la maggior parte dei quali in codice “arancione”, quindi bisognosi di cure piuttosto rapide, vi fossero solo due medici in servizio. Con quei numeri, sosteneva il medico, non poteva assolutamente essere assicurata la qualità e la tempestività degli interventi.
E tutto questo ha una sola giustificazione, che precede di molto la recente scarsità di medici e di operatori sanitari della quale si lamentano i vertici istituzionali e le direzioni sanitarie: la dismissione di molti ospedali, in alcuni casi anche con reparti di eccellenza, dettata dalla necessità di contenere il deficit sanitario. Ma una sanità pubblica che arretra, che offre servizi sempre di peggiore qualità ai cittadini, che finisce col sovraccaricare di fatica chi vi lavora, è essa stessa responsabile della propria perdita di attrattività sui professionisti: essi preferiscono migrare nel privato, dove gli stipendi sono anche più elevati, o lavorare in proprio, piuttosto che accollarsi le disumane fatiche, oltre che i rischi in eccesso e le grandi responsabilità che l’attività di assistenza sanitaria comporta, in un ospedale perennemente intasato. Siamo al cane che si morde la coda.
Contestualmente, infatti, il “Perrino” ha dovuto però fare i conti con la mancanza di personale medico per il reparto UTIN, la Terapia Intensiva Neonatale. La direzione sanitaria ha inizialmente cercato di tamponare la situazione assumendo, per singole prestazioni giornaliere al costo di cento euro l’ora, medici provenienti dal Policlinico di Bari, decisione che ha destato polemiche e discussioni, ma che veniva giustificata con la volontà di non perdere un fiore all’occhiello del “Perrino”. A fine giugno la decisione di chiudere il reparto, con la conseguenza che i neonati che avessero bisogno di assistenza per qualche complicanza sopraggiunta al parto dovranno cercare ricovero a Lecce o in altri nosocomi più lontani.