Dal calo demografico deve venire la spinta ad abolire le classi “pollaio”.

Dagli inquietanti scenari demografici che si prospettano sull’Italia, ed ancora di più sul Meridione d’Italia, è possibile ricavare forse uno ed un solo aspetto di innovamento positivo, in prospettiva: l’abolizione delle classi scolastiche “pollaio”, quelle classi con un numero esagerato di alunni, tranquillamente superiore alle 20 unità, quelle classi nelle quali la didattica e l’apprendimento, anche degli alunni più capaci e/o volenterosi, sono sacrificati e frustrati.
Si tratta di una tendenza purtroppo consolidata: è dal 2008, quando in Italia nacquero 550 mila bambini, che il numero dei nati va diminuendo: da due anni siamo già scesi sotto la psicologica soglia delle 400 mila nascite. Lasciamo qui da parte le cause. Già elementari e medie inferiori hanno registrato sulla propria pelle gli effetti del crollo demografico, con la sparizione di migliaia di classi e di tante piccole sedi. Presto gli effetti arriveranno anche sulle scuole superiori, giacché i nati nel 2009 quest’anno compiranno 15 anni. Ma le proiezioni sono ancora più severe: a causa della somma fra denatalità progressiva, un fenomeno comunque inauguratori già negli anni ’90 del ‘900 ed emigrazione forzata, già fra il 2002 ed il 2021 il Meridione ha perduto un milione e 320 mila under 35. Nel 2040 si prevede che il Meridione disporrà complessivamente, addirittura, del 31% di giovani in meno.
Si lascia il sud per mancanza di lavoro, oppure si sceglie una sede universitaria in una regione del centro-nord e lì si resta, perché solo una parte dei laureati avrebbe la possibilità di mettere a frutto il proprio titolo in un contesto che offre poche possibilità. Il quadro è devastante, perché, in un diabolico circolo vizioso, se vanno via le persone in età fertile di nascite se ne registreranno sempre di meno.
Ad ogni modo, sperando in una miracolosa inversione di tendenza, esiste, anche in questo contesto drammatico, l’eterogenesi dei fini: le classi pollaio sono un cancro della scuola italiana a prescindere, anche se vi fosse uno scenario demografico confortante. Altro che la digitalizzazione delle scuole, quando abbiamo a che fare con nativi digitali che di tutto hanno bisogno fuorché di avere a che fare con i tablet pure quando dovrebbero imparare a scrivere in un buon italiano!
Con un numero elevato di alunni, superiore al massimo alle 16 – 18 unità, è estremamente complicato svolgere la normale programmazione didattica. A questo si aggiunge il fatto che, sempre più spesso, le scuole accolgono alunni problematici, con disturbi comportamentali, che rendono ancora più difficile impiegare le ore di lezione nel modo più fruttuoso possibile. La riduzione delle nascite costringerà finalmente, si spera, ad intervenire su questa problematica annosa, e ne risentirà positivamente la qualità del tempo trascorso a scuola, a livello innanzitutto di qualità della didattica, quindi a beneficio degli alunni in primis.