A Mesagne è polemica per l’indagine sullo sfruttamento lavorativo nei servizi di ristorazione

L’associazione civica “Mesagne Bene Comune” ha presentato pubblicamente, lo scorso 16 dicembre, i risultati di un rapporto dall’eloquente titolo di “Cercasi schiavo”, commissionato a Marco Marrone, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro di UniSalento, in merito alla situazione lavorativa effettiva della manodopera impiegata nei servizi della ristorazione ubicati nella cittadina la cui amministrazione, negli ultimi anni, ha deciso di trasformare, spregiudicatamente, il centro storico in una specie di enorme, unica, tavolata a cielo aperto. La ricerca è stata condotta la scorsa estate, somministrando un questionario, compilabile anche in forma anonima, a un’ottantina di lavoratori impiegati in questo ambito.
I risultati hanno messo in rilievo una prassi piuttosto diffusa: assumere i lavoratori con contratti in regola, dal punto di vista delle ore da coprire e della relativa retribuzione ma obbligandoli, nei fatti a lavorare molto di più per paghe misere: turni massacranti, superiori alle otto ore, con retribuzioni oscillanti fra i 3 ed il 6 euro all’ora, senza tutele relativi a ferie o malattie.
L’esito della ricerca ha determinato la formazione di due fronti contrapposti: quello dei sindacati da una parte i quali, pur non concordando sull’opportunità di inserire strumenti di tutela quali il salario minimo, argomento all’ordine del giorno della politica nazionale, hanno rilanciato l’indagine per acuirne la denuncia, sottolineando come la “musica” non suoni loro affatto nuova, e Confesercenti dall’altra la quale, per bocca del presidente provinciale, Michele Piccirillo, ha voluto derubricare la questione nel merito come nel metodo. Nel merito, perché a suo dire tali comportamenti, per quanto da condannare, riguardano solo una piccola minoranza dei ristoratori, gran parte dei quali rispettano le regole, ed invitando semmai le vittime potenziali a non accettare neppure di essere sottoposte a tale trattamento; nel metodo, perché lo strumento utilizzato per indagare la questione sarebbe ben poco trasparente.
In generale, senza entrare nel caso specifico di Mesagne o di qualsiasi altro comune, ci sembra che tali situazioni vadano inquadrate in quel fenomeno, per natura volutamente e sfrontatamente caotico quando non apertamente volgare, il cui nome abbiamo avuto pure il cattivo gusto di prendere in prestito dalla lingua spagnola: movida. Neppure il coraggio di assumerci le nostre responsabilità!