Quotazioni basse del grano duro, a rischio la produzione italiana

Quotazioni basse del grano duro, a rischio la produzione italiana Sono circa 2000 le varietà di frumento duro conosciute in Italia; tra queste, poco più di 200 sono iscritte al Registro nazionale dei cereali, una decina – selezionate e certificate – vengono coltivate su larga scala. Sul mercato italiano la scelta è varia per rispondere a diverse esigenze.
Molto acceso quest’estate il dibatto sul grano che, ha avuto il merito di denunciare finalmente quanto poco sia retribuito in Italia e fatto parlare di alcune distinzioni, tra grani nazionali ed esteri o tra grani moderni e antichi, dei quali negli ultimi dieci anni si sono ripresi lo studio e la coltivazione.

Quotazioni basse del grano duro, a rischio la produzione italiana
Nonostante sia un Paese votato alla coltivazione del grano duro, come del resto tutto il bacino del Mediterraneo, l’Italia per far fronte alla domanda interna ne importa il 30/40%. L’unica certezza è che le aziende agricole italiane spuntano un prezzo troppo basso sul mercato.
Valorizzare maggiormente le produzioni nazionali di pasta ottenuta con 100% di grano duro italiano, intensificando anche i controlli sulle produzioni italian sounding; fronteggiare la volatilità dei prezzi puntando ancora di più sui contratti di filiera; riattivare la Commissione Unica Nazionale per il grano duro per aiutare a migliorare la conoscenza dei processi di formazione dei prezzi.
Sono queste le priorità che Filippo Schiavone, componente di Giunta Confagricoltura, ha esposto al Tavolo sul grano duro convocato oggi al MASAF alla presenza del ministro Lollobrigida.
“La recente evoluzione delle quotazioni di mercato a livello nazionale sta preoccupando non poco gli operatori del comparto. Sono in particolare le quotazioni del grano duro all’origine che nelle ultime settimane si sono contratte notevolmente con riduzioni anche del 10% su base settimanale”, ha detto.
Quotazioni basse del grano duro, a rischio la produzione italiana
Sulle piazze di Bari e Foggia le quotazioni del grano duro ‘fino’ all’origine sono crollate del 25-26% da inizio anno e del 14-15% nell’ultimo mese. “La questione della tenuta del prezzo pone un serio problema di autoapprovvigionamento – ha spiegato Schiavone -. Mentre negli ultimi anni si era assistito a un miglioramento del tasso di autoapprovvigionamento per il grano duro, la minore remunerazione della materia prima potrebbe indurre a contrarre le semine e quindi la produzione nazionale con un maggiore ricorso alle importazioni”.
Questa situazione – evidenzia Confagricoltura – farà aumentare anche il potenziale dell’export verso l’Italia, che nel 2022 aveva subito un vero e proprio crollo con un calo delle importazioni dal Canada di oltre il 40%. Nel 2022 l’Italia, primo produttore mondiale di pasta, ha importato più grano duro dall’UE (essenzialmente da Francia e Grecia) che dal Canada, tradizionalmente primo Paese fornitore.
“E’ inoltre essenziale – ha concluso Schiavone – avere maggiore conoscenza della situazione di mercato con dati aggiornati e disponibili in materia. A questo scopo, tuttavia, Confagricoltura non ritiene sia confacente l’obbligo di istituzione e tenuta del registro di carico e scarico di cereali e derivati, il cosiddetto ‘granaio d’Italia’ che sinora non è di fatto partito se non in via sperimentale e che rischia di tradursi unicamente in un ulteriore aggravio burocratico per le imprese”.
Quotazioni basse del grano duro, a rischio la produzione italiana
Per Luca Lazzàro, presidente di Confagricoltura Puglia “Il crollo dei prezzi del grano duro si sta abbattendo sulle aziende pugliesi in modo significativo. Questa diminuzione dei margini incide pesantemente sia sugli investimenti fatti nei mesi scorsi dagli imprenditori e sia sui lavoratori del settore che vedono messi a rischio i loro posti. La Puglia è al primo posto tra le regioni italiane con la maggiore presenza di aree coltivati a grano duro (344.700 ettari) e produzione raccolta (688mila tonnellate), seguita da Sicilia (272.405 ettari e 813mila t) e Basilicata (115.236 ettari per 321mila t). Per questo, è anche essenziale adattare la capacità produttiva ai mutamenti climatici e intensificare in modo sostenibile le produzioni attraverso investimenti materiali e immateriali. Il settore dei seminativi può avvantaggiarsi dall’innovazione, dalla ricerca scientifica. Servono – sottolinea – anche investimenti per migliorare la ricerca, le tecnologie su campo, l’agricoltura di precisione e il miglioramento genetico, tutto questo per andare incontro a consumatori sempre più esigenti e attenti all’alimentazione e alla tracciabilità dei prodotti”.
