Chi ha inventato la bombetta? Il Governatore Emiliano!!!!!

Prima che la Regione Puglia inserisse la bombetta di Martina nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali tutto andava bene. I macellai ed i ristoratori della Valle d’Itria prendevano per la gola i loro avventori con questa prelibatezza, nata quasi per caso durante una “Scuola” (da pronunciarsi in dialetto martinese) che non era altro che una di quelle riunioni tra amici durante le quali si mangiava, si beveva e si giocava a carte. In queste riunioni goliardiche tra giovani macellai c’erano certamente i Salvasodd i fratelli Vito e Franco Serio, Ninidd u r’zz (un cugino degli stessi Serio con lo stesso cognome ed il nome che dovrebbe essere Martino) e Michele Lasorte detto Ninuccio. Tutti e quattro purtroppo deceduti e si sono portati il segreto nella tomba (Ninuccio prematuramente, prima degli altri). A quanto pare si incontravano proprio nella macelleria di Lasorte, in Via Valle d’Itria difronte dove oggi c’è la Macelleria Romanelli, un suo dipendente d’allora.
Siamo agli inizi degli anni settanta. Che la tradizione della macelleria martinese risalga ad oltre un secolo fa è un fatto acclarato. Oliva è un cognome che dovrebbe essere stato uno dei capostipiti di questa tradizione.
Ma, tornando a quelle riunioni goliardiche e culinarie, si era soliti, tra macellai, fare delle prove di prelibatezze da proporre alla propria clientela. Sperando non nasca un altro contenzioso, sembra che a Martina sarebbe nato il tipico “fornello” nel quale si cuocevano alla brace dei pezzi di carne, antesignani degli gnummariedd’ (interiora di agnello e capretto), le bombette, il marro (frattaglie di carne avvolte in budella ovine). Le origini del “fornello” dovrebbero risalire ad un’usanza durante le feste patronali, mentre per altri sarebbe nato per rifocillare i contadini che a fine giornata tornavano dai campi. Prova tu! Provo io! Dalle cene conviviali tra amici macellai venne fuori “La bomba”, un grosso involtino ispirato ad una grande braciola al sugo che veniva arrostita proprio in questo fornello. Essendo molto grande non si cuoceva bene, soprattutto al suo interno. Ma a quanto pare fu proprio una donna, Maria, moglie di Ninuccio che consigliò di ridurre la dimensione della bomba affinché non si sprecasse inutilmente carne che venisse poi gettata, facendola diventare quasi un involtino, con all’interno formaggio, una fetta di pancetta affinché si cuocesse senza bruciarla, sale e pepe. Nella primigenia della bombetta martinese ci sono sulla rete delle trasmissioni radiofoniche della Rai oltre che riferimenti su libri di tradizione enogastronomica locale (editore Silvio Laddomada). Dire che la bombetta comunque sia stata inventata da uno, piuttosto che da un altro di quei macellai che si incontravano nelle loro botteghe per mangiare e socializzare tra di loro, varrebbe fare un torto agli altri. Nel corso degli anni il prodotto è diventato di uso comune e richiesto. Altri macellai lo hanno ripreso e qualcuno di questi ha aperto macellerie anche in paesi limitrofi: i Convertini, ad esempio) ed altri ex ragazzi a Locorotondo, i Santoro a Cisternino e così via. Ciascuno di loro, oramai diventati macellai di tradizione, non ha dubbi: la bombetta è nata a Martina. Di sicuro, gran merito di aver fatto conoscere questo prodotto in tutta Italia va dato anche ai macellai di ultima generazione come Michele Cito, lo stesso Romanelli, i quali sono riusciti a portarlo in saloni internazionali slow food come quelli di Torino o manifestazioni rinomate di gusto. Ben vengano altri che sapranno perfezionare e rendere più appetibile il prodotto. La bombetta di Martina non è stata brevettata da nessuno, ben diverso da ciò che è stato fatto per il Capocollo di Martina che molti (anche d’oltre oceano) hanno cercato di clonare, ma il merito in questo caso va riconosciuto al buon Angelo Costantini se oggi è un brand tutto nostrano.
Ma si vince qualche cosa a dire dove è nata la bombetta o se è nato prima l’uovo o la gallina? Così direbbe Francesco Paolantoni. Non ci siamo chiesti mai dove sono nati gli spaghetti alla Carbonara o la pasta alla Norma, così come la Matriciana. Le abbiamo gustate in qualsiasi città laziale, siciliana o abruzzese ed anche in altre regioni dove la facevano altrettanto bene. Ed allora, qual è il problema? Tutto questo è servito a rispolverare antichi rancori tra vicini su chi è l’inquilino più importante, deviando le attenzioni dalla pandemia e consentire a dei sindaci di assurgere alla ribalta delle cronache locali quando probabilmente avrebbero ben altri problemi da risolvere. Evviva la bombetta! Quella di Martina, di Cisternino, di Locorotondo, ma soprattutto di chi la sa fare. Ah, a proposito: a me piacevano le Gnumerèdde strafuchète du Curdùnne o l’Anatra mangiata a Cisternino. Per continuare a “rimanere” sui giornali, magari si può ora rivendicare la primigenia sulla “Zampina”. Buon Appetito.
Antonio Rubino