Violenza domestica: come aiutare donne e bambini che #restandoacasa sono vittime tra le mura.
Non siamo degli automi e nemmeno dei pazientoni come Tobia alle prese con le mosche del Vecchio Testamento, i conflitti violenti in casa, a lungo andare, ci sono. Dovunque, anche se i fatti peggiori… Beh, come aiutare chi soffre tra le mura domestiche?
Possiamo fare qualcosa?
Meglio parlarne con chi da anni studia a fondo queste situazioni.
-Dottoressa Anika Martella, da mediatrice familiare ed esperta nella gestione dei conflitti domestici, possiamo approfittare del suo cuore tarantino?-
“Certo che sì, vivo e lavoro a Roma, ma tarantina rimango in tutto. Anzi, approfitto per mandare un abbraccio e un saluto di incoraggiamento alla mia città”.
-Ecco, dottoressa, stiamo vivendo giorni densi di stress da clausura e da preoccupazioni di vario genere. Molti di noi diluiscono questo stress in piccole e conflittuali discussioni domestiche, in famiglie per lo più armoniose ed affettuose. Immaginiamo invece chi affetto e armonia in famiglia non li ha, anzi, vive in casa col “carnefice”-
“Intanto, possiamo fare qualcosa per loro nel ruolo di amici, colleghi, conoscenti, condomini”.
-Cioè?-
“Guardi, la violenza che si consuma nelle case è un’emergenza dai riflessi molteplici; non riguarda soltanto le vittime, le forze dell’ordine e i centri di aiuto, ma coinvolge anche noi come cittadini”.
-E allora?-
“Beh, se falliscono i nostri interventi immediati di amici o condomini, la vittima di violenza domestica può chiedere aiuto immediato contattando il numero verde 1522 attivo 24 ore su 24, sia per donne che per uomini ed è disponibile in più lingue. Lo sottolineo pensando soprattutto a quante donne straniere vivono tra noi. Anche maschi, sia ben chiaro, la violenza non un genere unico, anche se…”
-Anche se?-
“La mia esperienza, e non soltanto la mia, registra purtroppo che sono le donne a subire nella stragrande maggioranza dei casi”.
-Altri suggerimenti da esperta qual è?-
“Anche un’esperta come me sta in casa, né, ci comprenda, può mettersi a dettare linee di comportamenti generici: ogni persona è un mondo a sé. Anch’io agisco a remoto o, proprio nei casi urgenti, con il rapporto diretto con la malcapitata”.
-Quindi ci si può muovere, se è proprio indispensabile; se, mettiamo, una donna scappa via da casa.-
“Ma guardi che se la vittima è allo stremo, o per una ragione qualsiasi impossibilitata a usare il numero verde o la app 1522, può uscire da casa per denunciare l’aggressore. Può tranquillamente andare al centro anti-violenza, alla Stazione dei Carabinieri o al Commissariato di Polizia più vicini. A questo proposito, è opportuno precisare che uscire per denunciare una violenza domestica in corso, rappresenta una di quelle situazioni di necessità, indicate nel modello di autocertificazione, che autorizza lo spostamento”.
-Nella normalità, invece, può scaricare sullo smartphone l’utilissima app 1522, che permette di chattare 24 ore su 24 con un operatore in tempo reale, raccontando la situazione di pericolo che si sta vivendo e chiedendo un intervento immediato di soccorso e l’allontanamento dell’aggressore”.

An illustration showing the effects of domestic violence. According to the Family Advocacy Program, more than 18,000 cases of domestic violence were reportedin 2013. (U.S. Air Force photo by Senior Airman Rusty Frank/Released)
-Altri mezzi-.
“Quelli affidati alla capacità e forza di reagire, non subire passivamente. Voglio dire -e non è certo la verità assoluta di Anika Martella ma la cura più vecchia del mondo – anche mantenere una buona forma fisica, allenandosi in casa, soprattutto in questo momento aiuta a difendersi dai pericoli di aggressione”.
-Dice?-
“E dico sì, ma purtroppo non basta. A volte le vittime hanno paura di denunciare l’aggressore e in questi casi diventa fondamentale poter contare sull’appoggio di persone fidate che possano dare conforto e consiglio e intervenire in caso di pericolo. Per chiedere aiuto, è indispensabile per la vittima rompere il ‘patto di fiducia’ vissuto all’interno della relazione con l’aggressore e raccontare la situazione a persone fidate al di fuori della coppia. Qui possiamo intervenire noi: se siamo parenti, amici, conoscenti, vicini di casa della vittima, possiamo affiancare il nostro supporto privato a quello istituzionale, aiutando le vittime a far emergere la violenza al di fuori delle mura domestiche.
Tutti possiamo dare una mano, cercando di stare vicini alle vittime, mostrando apertamente appoggio e disponibilità di ascolto, senza dimenticare che chi subisce violenza in casa può avere timore a raccontare la propria situazione, per paura del giudizio altrui.
Per questo motivo, è importante parlare con la vittima rassicurandola del supporto dimostrando questo appoggio con telefonate e video-chiamate. Ma sto semplicemente cose note”.
-E occorre una tecnica particolare?-
“Guardi, e ripeto il già noto, nella maggior parte dei casi, secondo studi scientifici, le donne chiedono aiuto all’esterno per riuscire a controllare l’aggressore, non per lasciarlo. Ora, se la vittima si sente libera di confidarsi, sarebbe utile elaborare insieme un “codice
di linguaggio” da usare al telefono, o per messaggio, per segnalare l’inizio di una situazione potenzialmente pericolosa (una frase in codice, per esempio, potrebbe essere: “hai sentito oggi il medico?”). A quel punto, il parente, l’amico, il conoscente, il vicino di casa che riceve la richiesta di aiuto, potrebbe intervenire, a seconda dei casi: offrendo la disponibilità temporanea ad ospitare la vittima, per cominciare. Oppure telefonandole o video-chiamandola più spesso; oppure ancora, potrebbe telefonare direttamente all’aggressore per dirgli di fermarsi”.
–E sarebbe utile parlare direttamente con l’aggressore?-
“Un contatto diretto lo farebbe ‘uscire allo scoperto’ spogliandolo della sensazione di immunità che crede di avere durante l’emergenza sanitaria. Purtroppo, non accade spesso che parenti, amici, conoscenti e vicini si prendano la responsabilità di imporre all’aggressore la cessazione delle violenze”.
-Dal dire al fare..-
“Certo, generalmente le persone fidate si limitano a ascoltare la vittima, a consigliarle di separarsi o a offrirle ospitalità temporanea”.
Ecco, fin qui la bella chiacchierata con la dottoressa Martella, deducendone che con il Coronavirus dietro la porta di casa non è facile trovare un canale comunicativo che possa fornire informazioni utili e supporto alle vittime di violenza domestica.
Da questa riflessione, nasce l’impegno sempre crescente di Anika in questo ambito, che troverà concretizzazione nel blog “chedirittiho.it” prossimamente in rete
Anika Martella – mediatrice famigliare. Foto Luca Furlanut