Annalisa Durante, uccisa da innocente sotto i colpi della camorra. 14 anni fa a Napoli moriva l’infanzia
Questa storia va raccontata a partire dalla “fine”, perché spiegarla dal principio significherebbe perdere il filo del racconto e disperdersi negli infiniti aspetti di una matriosca criminale: c’è una vittima accidentale di un agguato di Camorra, c’è un quartiere, Forcella – nel centro storico di Napoli, tra i quartieri Pendino e San Lorenzo a ridosso di via Duomo e tra Spaccanapoli e il corso Umberto I – c’è un folto pubblico, gli abitanti del quartiere Forcella, che diventerà spettatore muto di un bagno di sangue. E ci sarà un processo, nel quale la verità proverà ad essere manipolata, rinnegata, nascosta, alterata o “dimenticata”. Ma c’è anche un parroco, Don Lugi Merola: minacciato di morte, costretto a vivere sotto scorta e lasciare la parrocchia di San Giorgio, nel quartiere Forcella.
L’inizio della storia va fatto coincidere con la fine, appunto. La fine di Annalisa Durante, uccisa da un proiettile vagante a soli 14 anni, la sera del 27 marzo del 2004, esattamente 14 anni fa. Protagonista involontaria di una spedizione punitiva a Salvatore Giuliano – detto ‘O russ – della dinastia camorristica della famiglia Giuliano.
Dal libro “Il diario di Annalisa” trascrizione rielaborata dei diari di Annalisa Durante a cura della giornalista Matilde Andolfo: “Annalisa esce di casa alle 21.45. E’ con le sue amichette di sempre, dopo un pomeriggio trascorso tra le chiacchiere e i giochi. Sogna di fare la parrucchiera e si diletta a sperimentare nuove acconciature (…) indossa jeans con tasche gialle, maglietta nera a collo alto, scarpe da ginnastica “silver dorate”, giacca nera. Trascorre quel sabato sera tra i vicoli di Forcella, orgogliosa di mostrare a tutti il suo look con frangia e capelli lisci sulle spalle. Il gruppetto si divide: alcune ragazze vanno in pizzeria, altre preferiscono passeggiare.”
Quella sera Annalisa resta vicino casa, in Via Vicaria Vecchia 22. Sasà ‘o russ, Salvatore, è lì a chiacchierare con le ragazze e chiede ad Annalisa di comprargli le sigarette – i due si conoscono di vista fin da piccoli, abitano nello stesso quartiere e Sasà lo conoscono tutti – così Annalisa sale sullo scooter di Antonio, fratello di Salvatore e, si fa accompagnare in moto a comprargliele.
Sono le 22.50 quando il silenzio “religioso” nel quartiere di Forcella, che assiste all’incontro di calcio Napoli- Cagliari alla tv, viene interrotto da diversi colpi di arma da fuoco. Alcuni colpi partono dalla pistola di Salvatore Giuliano – in risposta al fuoco nemico – e uno di questi, accidentalmente, colpisce Annalisa alla testa, trafiggendole l’occhio e distruggendole il cervello. Cade per terra, nel suo sangue. Un fuggi fuggi generale di persone che cercano riparo nei portoni vicini, le urla, poi il caos pieno.
Il padre di Annalisa scende in strada, prova a “farle entrare ossigeno”, come racconterà durante il processo, praticandole la respirazione bocca a bocca. Ma Annalisa viene trasportata all’Ospedale “Ascalesi”, entra in coma e muore poco dopo. La famiglia deciderà di donare i suoi organi e 7 vite verranno salvate grazie a questo ultimo atto di amore.
Al processo dell’omicidio di Annalisa Durante, Antonio Giuliano (condannato a 1 anno e 27 giorni per falsa testimonianza resa il 13 ottobre del 2005, in favore del fratello) dichiara di aver visto due moto dirigersi “nel quartiere”, quattro persone coperte da casco integrale – “A Forcella nessuno usa il casco”, dice Antonio al processo – i passeggeri dei due scooter hanno entrambi la pistola, secondo il racconto.
L’omelia per i funerali di Annalisa viene celebrata da Don Lugi Merola, che durante la messa attacca duramente la camorra e che diventerà il simbolo di una lotta contro la criminalità, andando contro il volere dell’allora Arcivescovo di Napoli, Michele Giordano, che lo inviterà, a poco tempo da quella omelia, a non fare il poliziotto: “Don Luigi non può fare il mestiere degli altri. E’ un ragazzo buono, che ha entusiasmo e passione, mi lega a lui un rapporto filiale, ho il dovere di guidare i giovani sacerdoti. Ma don Luigi darà un contributo contro l’illegalità, solo nella misura in cui saprà educare i giovani, con un lavoro oscuro, di conversione. Un lavoro che non va sui giornali, è chiaro. Perché il bene non fa rumore. E il rumore non fa bene”.
Don Luigi Merola collaborerà con il questore di Napoli consegnandogli una cassetta in cui si documenta lo spaccio di droga; denuncerà la camorra e farà smantellare le telecamere piazzate dai clan all’interno del quartiere. Subirà minacce di morte da parte di due giovani armati che lo aspettano sotto casa. A pochi mesi dalla morte di Annalisa viene intercettata la frase di un camorrista, che a proposito del parroco afferma: “Lo ammazzerò sull’altare”. Da quel giorno del 2004, Don Lugi Merola vivrà sotto scorta e, nel 2007, lascerà la comunità parrocchiale di Forcella per ragioni di sicurezza. Sotto scorta fino al 2013, quando lo Stato deciderà che il parroco “non corre immediato pericolo di vita”, nonostante nell’ottobre del 2015, a Marano, viene affiancato alla guida del suo scooter da due ragazzi in auto, che gli intimano di fermarsi. Don Luigi riesce a fuggire. Le videocamere riprendono la scena. Il parroco si sentirà abbandonato dallo Stato: “Posso avere protezione se mi devo spostare, avvisando la Procura il giorno prima. Non serve a nulla questa opzione, se poi possono farmi fuori tutti i giorni”.
Ai funerali c’è tutta Forcella, l’intera scolaresca della “Teresa Confalonieri” (la scuola media frequentata da Annalisa). Mamma Carmela non ce la fa a vedere la sua piccola in quella bara bianca – i medici decidono di sedarla – la sorella Manuela e il papà Giovanni sono lì con lei per darle l’ultimo saluto. Il papà lascia nella bara un cellulare e un biglietto: “Ti prego, chiamami: dimmi se sei arrivata in Paradiso.”
Il suo diario, da cui è tratto il libro “Il diario di Annalisa”, è stato ritrovato nel giorno dei suoi funerali in circostanze insolite, da una signora che da poco abitava nel quartiere e che disse di averla sognata. Nel sogno Annalisa le avrebbe chiesto, tra le altre cose, di far ritrovare il suo diario di cui la famiglia non conosceva l’esistenza: “Voglio che tutti conoscano la mia storia. Non mi interessa far sapere come sono morta e chi sono i miei assassini (…) Dovete cercare tra le mie cose, troverete un diario blu con un cuoricino rosso ed una penna”.
Dettagliata e rispondente al vero, la descrizione di quel diario. Il giorno seguente la signora consegnò il messaggio ai genitori di Annalisa e quel diario fu ritrovato. In una delle pagine, questo messaggio: “Vivo e sono contenta di vivere, anche se la mia vita non è quella che avrei desiderato (…) Ma so che una parte di me resterà immortale. E presto andrò in paradiso.”
Leggendolo si ha la netta sensazione del suo bisogno di evadere da Forcella, della consapevolezza della realtà pericolosa in cui viveva. Alcuni pensieri sono dedicati al suo amico Francesco, di cui era innamorata; altri sono per la sorella, per i genitori e, infine, per le amiche del cuore. In uno dei tanti sfoghi di Annalisa sul suo diario, colpisce il racconto fatto alcuni mesi prima della sua morte, quando Claudio Taglialatela venne ucciso a 22 anni durante una rapina, non molto lontano da Forcella: “Oggi abbiamo visto i funerali di Claudio in televisione. Abbiamo pianto tanto. Mia madre è sconvolta, dice che è la cosa più orribile perdere un figlio. A me mi è venuto il freddo addosso. Che tragedia. Perché si deve morire così? Non è giusto”.
La morte di Annalisa Durante sembra, nei primi momenti, avere la forza di poter segnare uno spartiacque nella storia di Forcella: l’omelia funebre raccoglie la popolazione non solo di quartiere e della città, ma anche dei paesi limitrofi, che si schierano apertamente con la giovane vittima di un sistema criminoso autoreferenziale. L’Italia intera resta sgomenta davanti alla sua morte, che trova spiegazione solo in un repubblica camorrista di quartiere.
Questa sensazione svanirà, però, a processo iniziato, quando apparirà chiaro che molti dei testimoni chiamati a raccontare, ritratteranno le proprie deposizioni firmate, modificando la propria versione dei fatti. Esemplare a questo proposito è la testimonianza di un’amica di Annalisa, Iolanda D., che racconterà ai giudici di non saper leggere (pur avendo conseguito il diploma di scuola media inferiore) e sostenendo ostinatamente di non ricordare nulla. È chiaro a quel punto, che gli abitanti di Forcella siano ancora soggiogati dal sistema che governa il proprio quartiere e, il processo apparirà stagnarsi tra false testimonianze, memorie confuse, dettagli discordanti.
Chiarezza verrà fatta con la testimonianza di un collaboratore di giustizia, che spiegherà l’agguato a Salvatore Giuliano, organizzato da Vincenzo Mazzarella, a capo di un gruppo criminale egemone in quella zona, che aveva deciso di dare una lezione esemplare al gruppo rivale dei Giuliano e, confermando la responsabilità di Sasà ‘o Russ per il colpo di pistola fatale ad Annalisa.
Salvatore Giuliano è stato ritenuto colpevole di aver assassinato Annalisa e condannato a 24 anni in primo grado, pena ridotta a 18 in Corte d’Assise e infine nel 2008, secondo giudizio della Cassazione, aumentata a 20 anni di carcere.
Annalisa oggi avrebbe 28 anni, ma dalle pagine del suo diario traspare sfiducia nel futuro e, forse, un triste presentimento sulla sua fine prematura. Come in uno degli episodi raccontati dalla sua compagna di classe – apparso nel libro “il diario di Annalisa” – e avvenuto qualche tempo prima di quel tragico 27 marzo: “Aveva risposto in maniera insolita ad una frase della sua insegnante. <<Annalisa ci vediamo lunedì?>>. E lei: <<Lo spero. Non so se verrò a scuola>>.”
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