Casi Cucchi e Uva: richiesta di giustizia o propaganda politica? Come tutelare le divise? | L’INTERVISTA
A cura di Elena Ricci
In Italia c’è chi la giustizia la cerca nelle aule di tribunale e chi invece la cerca sui social. E’ questa spaccatura “intellettuale” che ha dato vita a quelli che oggi conosciamo come processi mediatici. Fare leva sulle potenzialità della comunicazione, sulla velocità che questa va acquisendo giorno dopo giorno; sui social media e sull’impatto che molto spesso, notizie mistificate hanno su buona parte dell’opinione pubblica, ha reso alcuni casi di cronaca veri e propri casi di rilevanza nazionale e, perché no, di propaganda politica. Perché di questo alla fine si tratta, soprattutto quando, nelle tv di Stato – pagate dai cittadini contribuenti – non vi è il contraddittorio tra le parti in causa (anche i famigliari dell’indagato pagano il canone). E’ questo che succede quando si spettacolarizza il processo, quando il processo diventa mediatico. Vogliamo fare degli esempi? Primo fra tutti il caso Cucchi, di cui abbiamo ampiamente parlato e di cui parleremo ancora; il caso Uva e non ultimo, il caso Narducci. Abbiamo citato tre casi in cui l’accusa punta il dito contro le divise. E abbiamo citato anche la “propaganda politica”. Si, perché casi come questi (si pensi al caso Cucchi), hanno spianato la strada alla proposta di legge sul reato di tortura e non solo. Appena due anni fa, il senatore Luigi Manconi (PD) parlava di “abolizione delle carceri”, elencando una serie di misure alternative mirate alla rieducazione di chi si fosse reso responsabile di un reato.
Dunque, processi mediatici e propaganda politica sulla pelle di chi? Sulla pelle dei tutori dell’ordine ovviamente, i quali grazie proprio alla velocità con la quale circolano le “notizie” sui social (i nuovi tribunali) vengono tacciati come assassini e vengono messi alla gogna, con conseguenti gravi ripercussioni sulla vita privata e lavorativa. E’ il caso del Vice Brigadiere Francesco Tedesco, la cui foto fu diffusa su facebook da Ilaria Cucchi «ecco il volto di chi ha pestato mio fratello»; oppure del poliziotto Luigi Empirio, la cui foto successivamente, forse per solidarietà, fu diffusa sempre su facebook da Lucia Uva. Storie queste, che negli ultimi anni hanno fatto molto discutere e che hanno scatenato vere e proprie ondate d’odio nei confronti delle divise. Ma qualcuno si è mai chiesto in che condizioni lavorano i tutori dell’ordine? Di questo abbiamo parlato con Gianni Tonelli segretario del SAP (Sindacato Autonomo di Polizia); con il senatore Carlo Giovanardi e con il senatore Vittorio Zizza.
Tonelli ci spiega che le forze dell’ordine non sono nel mirino della gente e della società civile, come qualcuno vorrebbe far credere, ma sono nel mirino di quello che lui chiama “partito dell’antipolizia”. Un termine che Tonelli ha coniato qualche anno fa e che identifica un ammasso confuso di soggetti che molte volte hanno anche idee politiche diverse tra loro, ma hanno in comune un’avversità in senso generale nei confronti delle divise e delle istituzioni del paese. «Sono i cosiddetti “disfattisti”, li troviamo negli ACAB, li troviamo nel mondo anarchico, nei centri sociali, nella sinistra radicale e anche in quello che è il circuito mediatico, della pseudocultura autoreferenziale italiana che troviamo anche in Parlamento».
Come ha risposto il Sap a questi soggetti? «Noi che abbiamo a che fare con questi soggetti, ci siamo messi in discussione per primi – spiega Tonelli – Abbiamo chiesto telecamere sulle divise, auto, celle di sicurezza – e continua – gli identificativi di reparto che hanno proposto, sono strumenti vecchi di oltre trent’anni. Le garanzie maggiori si possono avere con la nostra richiesta. Le telecamere non perdonano nessuno e questo ai delinquenti non piace».
Bisogna investire nelle Forze di Polizia e fare in modo che queste operino in sicurezza e che il loro operato sia documentabile, altrimenti si incappa in quelli che oggi sono i casi Cucchi, Uva e Narducci. «Il caso Cucchi lo conosco molto bene – dice Tonelli – sono stato querelato dalla signora Cucchi. Il PM aveva chiesto l’archiviazione, però caso strano, alla fine il Gup ha disposto l’imputazione coatta. Proprio per casi di questo tipo, presto sarà in rete un nuovo sito web, vialamenzogna.it. «Inizierò proprio con il caso Uva – spiega sempre Tonelli – scrivendo che i miei colleghi non avevano alcuna responsabilità, così come sottoscritto anche dai periti di parte civile. Le cause della morte del povero Giuseppe Uva sono state altre. Con questo sito web produrremo tutti gli atti, per permettere a tutti i cittadini di operare una propria analisi ed avvicinarsi alla verità». Relativamente al caso Cucchi, esiste invece già una pagina facebook “Io non li condanno” che si pone la stessa finalità. «Apprezzo molto il lavoro che svolge quella pagina. E’ importante produrre tutti gli atti in caso di processo mediatico. Tra l’altro l’avvocato Fabio Anselmo è un esperto di processi mediatici. Lo dice lui stesso che le cause le vince così. Però oggi che sotto inchiesta ci sono i Carabinieri, è bene spiegare che nel momento in cui l’interesse era quello di sostenere la colpevolezza di penitenziaria e medici, l’avvocato Anselmo (legale della famiglia Cucchi) nel suo ricorso in cassazione escludeva categoricamente che la responsabilità fosse dei Carabinieri. Tra l’altro è stata anche esclusa dal padre, dall’avvocato d’ufficio e dal giudice dell’udienza di convalida che la mattina della direttissima non notarono anomalie».
Dello stesso avviso è anche il senatore Carlo Giovanardi, firmatario di una interpellanza indirizzata al Ministero della difesa e depositata lo scorso 14 marzo, circa presunti precedenti penali gravi in capo al supertestimone del caso Cucchi, il Carabiniere Riccardo Casamassima.
«Per quanto riguarda i tempi di risposta all’interpellanza Non mi faccio delle grandi illusioni perché fino ad ora le istituzioni, dal Comando Generale dell’Arma al presidente del Senato, si sono solo mossi a favori della Cucchi, dandole molta visibilità mediatica. – dice Giovanardi – Io invece non posso non ricordare quella che è stata la realtà, ovvero che ci sono stati forse 9, 10 tra i più importanti periti italiani che hanno determinato che non c’è nessuna correlazione tra eventuali percosse e morte. E nonostante tutto il nuovo Pm ha preso per buone le consulenze di parte civile. I due superteste sono poi due persone che si sono comportate in una determinata maniera, e questa inchiesta nasce sulla base delle dichiarazioni rese da questi due signori e da una signora che si stava separando dal marito (ex moglie del carabiniere Raffaele D’Alessandro ndr), quindi mossa da una serie di atteggiamenti di rivalsa. I due marescialli (Enrico e Sabatino Mastronardi) che sono andati a smentire tutto, denunciando i due signori per calunnia, sono stati indagati per falsa testimonianza».
Guerre di perizie dunque, ma un’unica risposta: non sono state le lesioni a determinare la morte di Stefano Cucchi. Allora perché ostinarsi? Giovanardi ci risponde che ci si ostina perché l’avvocato Anselmo è bravo a vincere i processi sui media. «Lo dice lui stesso, che la sua forza sono i mezzi di comunicazione. La signora Cucchi, e parlo di lei come una che fa politica perché si era candidata, quindi fa politica come la faccio io, ha avuto un’esposizione mediatica strabordante, mentre la difesa dei Carabinieri non ha avuto possibilità di esprimersi. Quindi c’è un’opinione pubblica che viene orientata in una certa maniera. Per anni sono stati gli agenti di custodia, per anni i medici, poi terminato tutto con l’assoluzione, io aspetto con pazienza che si sviluppi questa vicenda. Ancora non c’è stato il rinvio a giudizio. Quando ci sarà – e se ci sarà – vedremo come andrà a finire il processo. Certo non mi è piaciuto che i Carabinieri siano stati sospesi prima del rinvio a giudizio. Così come non ho condiviso il comunicato del comando generale dell’Arma, perché la Cucchi, un minuto dopo essere stata ricevuta, ha inneggiato ai Carabinieri buoni e ai Carabinieri cattivi, definendone alcuni assassini e provocando ad essi e le loro famiglie dei gravi problemi».
In linea con il pensiero di Gianni Tonelli e del senatore Giovanardi, anche il senatore Vittorio Zizza. «Sono contro la spettacolarizzazione di tutti i processi e sono per la regolamentazione della pubblicazione delle intercettazioni. Andrebbero rese pubbliche solo quelle attinenti al caso senza rovinare la vita delle persone. Io sono un garantista al 100% – e continua – sono anche un grande sostenitore delle Forze dell’Ordine e non lo dico per partito preso perché sono di Centro Destra. Non si prefigura come quella che oramai da tanti anni è la battaglia della sinistra contro le forze dell’ordine. Loro sono pagati male e spesso affrontano situazioni pericolose in cui deve essere loro garantito di doversi difendere nel rispetto della legge. Si pensi agli scontri negli stadi, oppure al trovarsi ad avere a che fare con una persona sotto effetto di alcol o stupefacenti».
Dunque più tutele per le forze dell’ordine. E’ questo il punto caldo. Più tutele mentre operano, mentre sono sul posto dell’intervento, mentre lavorano per la nostra sicurezza. E più tutele anche, quando sono coinvolti in casi giudiziari come quelli citati.
Sostenuti e non abbandonati.
Elena Ricci