Senza casa e lavoro dorme in auto. La storia di Santino
Di Antonello Corigliano ed Elena Ricci
“La povertà non gli consente di sollevare la testa, la dignità non gli consente di chinarla”. E’ quanto dice un antico proverbio africano. E’ quanto succede ad un padre, ad un nonno. Un uomo.
Certe storie sembrano lontane anni luce da noi ma non lo sono affatto. Certe situazioni sembra solo di viverle attraverso una notizia ascoltata in tv, radio, o letta su un giornale. Certe situazioni sembrano non appartenerci affatto, fino a quando non ci si ritrova a guardare negli occhi un uomo che sta chiedendo aiuto. Un uomo che ha perso tutto e sta lottando per cercare di salvare qualcosa: la sua famiglia e la sua dignità. E di fronte ad una simile richiesta d’aiuto non si può tacere o starsene con le mani in mano. Noi abbiamo deciso di non tacere e di raccontare questa storia, affinché tutti possano aprire gli occhi e rendersi conto che oggigiorno, in un’epoca in cui l’uomo dovrebbe godere di ogni agio, in un’epoca in cui i diritti non dovrebbero essere ricordati alle istituzioni, esistono ancora casi di disperazione silenti, abbandonati a loro stessi, al loro destino, alla loro povertà. Perché per quanto possa sembrare oggi obsoleto e superato il concetto di ‘povertà’, questo impera nella nostra società e segna forte la sua presenza.
C’era una volta un uomo. Un marito poi divenuto padre, e successivamente nonno. Un lavoratore, oltre 20 anni di lavoro su strada come autotrasportatore. Lavoro, sacrificio, casa e amore di moglie e figli. Una vita felice, un padre attento e legato alla sua famiglia. Quest’uomo si chiama Santino Cordasco, vive a Sava in provincia di Taranto, e a novembre compirà 61 anni. Un giorno la vita decise che per Santino le cose dovessero complicarsi, e allora lo mette alla prova. Santino perde il lavoro, ma non demorde. Si rimbocca le maniche e ne trova un altro. Sarà guardiano di notte presso un’area in costruzione. Inizia a lavorare dunque, e con quel che guadagna riesce a mantenere la sua famiglia, pagare il fitto, vivere. Il lavoro sembra andar bene, ma dalla sola notte si passa all’intera giornata. Santino ne ha bisogno e accetta. Diventa un lavoro h24: ma a lui non importa. Ha un dovere di padre e marito che vuole assolvere nel pieno delle sue possibilità. E spinto dall’amore di nonno per i suoi quattro nipotini, vuole essere anche un nonno presente e disponibile in caso di emergenza. Le richieste sul lavoro aumentano: non solo guardiano h24, ma anche mansioni. Santino accetta, ma un giorno si accorge che qualcosa non va. La sua posizione lavorativa non è regolarizzata e non percepisce contributi. Decide dunque di scrivere mezzo raccomandata all’azienda, che di contro lo manda via, sottoponendolo alla firma di un atto consensuale, nel quale Santino chiude bonariamente la situazione dichiarando di non avere più nulla a che pretendere dall’azienda. Successivamente, Santino impugnerà quell’atto nei termini previsti, così come previsto dalla vigente normativa. Da qui – nel mese di maggio – inizia l’incubo di Santino Cordasco. Senza lavoro, senza soldi, non può più permettersi di pagare l’affitto, e quindi si appoggia insieme a sua moglie e il figlio minore, momentaneamente presso l’abitazione del figlio maggiore sposato con figli. Santino è combattivo, ma si sente fallito. Fallito come padre che avrebbe voluto aiutare un figlio e non farsi aiutare. Maschera il suo malessere e non si perde d’animo, forse un giorno tutto potrà sistemarsi. Si reca continuamente presso l’amministrazione comunale di Sava per chiedere l’assegnazione di una casa, ma le risposte sono negative. Lo stesso lamenta un disinteresse e un atteggiamento prepotente da parte della responsabile ai servizi sociali. Continua ad essere combattivo e determinato, nutrito da un forte orgoglio e dall’amore per i suoi nipotini che adora portare a spasso come fanno tutti i nonni. Ma tutto peggiora. La sua apprensione, il suo amore troppo forte per figlio e nipoti, porta l’insorgere di incompatibilità con la nuora, motivo per il quale Santino viene allontanato dall’abitazione del figlio. Adesso Santino vive per strada e dorme in auto da qualche giorno. Non vuole sussidi o aiuti economici. Vuole una casa per lui e per la donna che ha sposato. Vuole restituire a quella donna il calore di quattro mura familiari, la gioia di vivere in una casa insieme a suo marito e l’altro figlio. Lui non vuole denaro, perché si sente ancora utile, e sa di poter lavorare. Ma in casi come questo, cosa fa più male dell’aver perso tutto? Il “menefreghismo”. E’ questa la risposta, la parola chiave che troviamo anche nella lettera che ieri Santino Cordasco ha protocollato presso il comune di Sava, con la promessa di depositarla presso gli uffici della Procura della Repubblica. La missiva è indirizzata al sindaco Dario Iaia, alla responsabile del servizio sociale dottoressa Maria Cavalieri e alla segreteria generale del comune di Sava. Nella stessa, Cordasco chiede di poter avere una casa, essendo l’amministrazione a conoscenza delle sue condizioni precarie e di salute. Annuncia di citare nelle sedi competenti i destinatari, per una palese violazione del decreto del Presidente della Repubblica sul codice comportamentale nei confronti dei cittadini. Santino Cordasco conosce molte cose. Ricorda a memoria numerosi articoli del codice civile e penale. Ha “studiato” per difendersi da quella che per lui non è stata una vita facile. Santino ha perso tutto per far valere i suoi diritti, soprattutto sul lavoro. Ed è l’emblema di quella che oggi è l’Italia. Un lavoratore deve accettare qualsiasi cosa pur di lavorare e portare a casa quel tozzo di pane, che come ha detto il grande Papa Francesco “se non lo porti a casa ti toglie la dignità”. E a proposito di Papa Francesco, la chiesa come si è approcciata a questa situazione di bisogno? Come ha risposto a questa richiesta di aiuto? Santino ci racconta che non vi è stata nessuna richiesta rivolta alla chiesa, dopo che la stessa, si è addirittura rifiutata di celebrare i funerali di un indigente savese, affidato ai servizi sociali e morto per strada qualche mese fa.
Santino è solo. Solo nel suo dramma, solo nella sua disperazione. Determinato e intenzionato a riemergere da questo abisso oscuro, si commuove al pensiero di come possa sentirsi nei confronti di moglie e figlio. Un uomo quasi impenetrabile, lascia intravedere nello sguardo quel sentirsi quasi umiliato da questa situazione, dovendosi rapportare a sua moglie, e a suo figlio che a malapena riesce a strappare 30 euro di tanto in tanto con qualche lavoretto. Può un uomo di 61 anni, padre, marito, nonno, dopo anni di sacrifici e lavoro, essersi ridotto così? E chi lo ha ridotto così? Se non l’incuranza delle istituzioni, se non questa Italia che va allo sbaraglio e non tutela gli italiani, i suoi cittadini, i lavoratori. E mettiamoci in mezzo anche la chiesa, che non è quella delle moine e delle frivolezze, ma dovrebbe essere quella della carità dell’accoglienza. E non tocchiamo il tasto dell’accoglienza, perché forse aiutare Santino Cordasco a riprendere in mano la sua vita non riempie le tasche a nessuno.
Dopo la missiva inviata al comune – in cui Santino scriveva che se fosse stato necessario avrebbe dormito anche dinanzi gli uffici comunali – pare sia arrivata una promessa d’impegno da parte del sindaco Iaia, ovvero quella di un lavoro e di un alloggio presso una masseria. Noi ci auguriamo che sia davvero così, e che Santino possa ritornare a sentirsi l’uomo che è sempre stato.
Questa è la storia di Santino Cordasco. Non siamo lontani, siamo a Sava, Taranto. E non è solo la sua storia. E’ la nostra, è la storia di ogni italiano. E’ così che va l’Italia purtroppo, è così che vengono tutelati e garantiti i diritti dei cittadini. E non c’è sicuramente da meravigliarsi. In ogni angolo, anche dietro casa, spesso una famiglia si dispera nel suo silenzio, e nessuno se ne accorge. O semplicemente non vuole.
Signor Cordasco, cosa le è successo?
Vivo in macchina da diverso tempo. Non ho più una casa da mesi ovvero da quando ho perso il lavoro.
Ha una moglie, dei figli?
Certo. Sono sposato. Ho una moglie e due figli. Mia moglie ed il più piccolo vivono a casa del primogenito. Io sono dovuto andare via perché creavo conflitti tra mio figlio e la sua compagna. Sono un nonno apprensivo e questo mio modo di fare ha creato delle tensioni in famiglia.
Che lavoro svolgeva in passato?
Per tanti anni ho fatto il camionista. Giorno e notte a macinare chilometri. Ma il mio dovere di padre e di marito l’ho sempre onorato. Non ho fatto mai mancare nulla alla mia famiglia. Poi la crisi mi ha costretto a cercare qualcos’altro. Così mi sono ritrovato a fare il custode di notte per una impresa di costruzioni. Quello che guadagnavo mi bastava. Il mio datore di lavoro, però, ha poi voluto allungarmi l’orario lavorativo a parità di paga. Ho accettato perché quando hai famiglia non puoi tirarti indietro.
Il più grande, quello che convive, non ha un lavoro stabile. Io riuscivo ad aiutare anche lui. Un papà, un nonno, ha il dovere di farlo.
Poi?
Poi… Poi un giorno mi accorgo che la mia posizione lavorativa non era in regola. Insomma per quasi 2 anni ho lavorato “a nero”. Così ho scritto all’impresa per la quale svolgevo diverse mansioni per mettere a posto questa cosa. Ho chiesto solo i miei diritti elementari di uomo nonché di lavoratore. Per tutta risposta mi hanno fatto firmare un accordo bonario, che io ho già impugnato, e infine mi hanno messo alla porta. Non volevo un aumento di paga anche se lavoravo h24. Ho chiesto solo i miei diritti. Nulla di più.
Ha chiesto aiuto a qualcuno?
Ho scritto al Sindaco di Sava, Dario Iaia, ed ho parlato direttamente con il responsabile dell’ufficio Servizi Sociali. Ho chiesto per me e la mia famiglia una casa popolare oppure una diversa sistemazione. Ma mi hanno detto, con arroganza, che per me non possono trovare una soluzione. Insomma dopo anni di duro lavoro adesso devo vivere in una macchina, per strada in paese.
Quindi la sua casa è una macchina. Cosa dicono i suoi concittadini?
Dormo in macchina con una copertina dato che le temperature sono calate. Di giorno l’auto devo lasciarla a mia moglie ed ai miei figli per il lavoro e le varie commissioni. Quindi sono in piazza.
Le prime notti sono state tremende. Più volte si sono avvicinati i Carabinieri di Sava e Manduria per capire chi fossi ed il perché dormissi in macchina la notte. Loro hanno capito la situazione e sono solidali con me.
Della gente non mi importa di quello che pensa e dice. Il paese è piccolo. Ma io sono concentrato a risolvere i miei problemi.
Santino, lei si sente abbandonato dalle istituzioni?
Sono uno combattivo. Voglio che i miei diritti vengano riconosciuti. Ma combatto anche per quelli degli altri. Oggi è successo a me domani può accadere la stessa cosa ad un altro.
Questo è un paese maledetto, lo scriva pure. E’ maledetto perché i cittadini non hanno diritti. Solo qualche mese fa è morto di stenti un altro savese. Un mio concittadino, affidato ai servizi sociali perché senza casa e senza lavoro, è morto per strada.
Mi sento abbandonato dalle istituzioni . Noi italiani non abbiamo più diritti.
Di contro, la Chiesa ha fatto qualcosa per lei?
Vuole sapere se la Chiesa ha fatto qualcosa per me? Quando è morto quel poveretto per strada il parroco di Sava non ha voluto celebrare la messa. Il perché? Il parroco ha detto che senza i familiari non poteva officiare la messa esequiale.
La Chiesa per me non ha mosso un dito.
Come ti senti quando guardi negli occhi tua mogli ed i tuoi figli.
( Piange in silenzio Santino, per diversi secondi non riesce a parlare. Poi rialza il capo e riprende il suo ritmo).
Ho sempre dato alla mia famiglia. Ho fatto più del mio dovere. Adesso non posso più aiutare la mia famiglia e fare qualcosa per loro. Io ancora mi sento utile, posso lavorare ancora. Ho la forza per farlo. Questa situazione mi abbatte. Adesso mi sento quasi un uomo fallito.